La legge n. 219/2017 supera il primo vaglio della Corte Costituzionale: infondati i dubbi del Giudice Tutelare di Pavia

Abbiamo a suo tempo commentato l’ordinanza di rimessione del Giudice Tutelare di Pavia in data 24.03.2018 che aveva sollevato dubbi sulla costituzionalità dell’art. 3, commi 4 e 5 l. n. 219/2017.

In quella sede avevamo ampiamente riassunto le convinzioni del giudice remittente (pur non condividendone l’assunto interpretativo): l’amministratore di sostegno cui (in assenza delle DAT) sia stata affidata la rappresentanza esclusiva del beneficiario in ambito sanitario, avrebbe sempre e comunque anche il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza dell’assistito, senza che il Giudice Tutelare possa diversamente decidere e senza bisogno di un’autorizzazione di quest’ultimo per manifestare al medico il rifiuto delle cure.

Con la recente decisione n. 144/2019, la Corte Costituzionale ha evidenziato l’erroneità di tale esegesi, e di conseguenza ha ritenuto non fondati i rilievi di legittimità costituzionale.

La Corte si sofferma anzitutto sui contenuti della legge n. 219/2017, osservando che questa dà attuazione al principio del consenso informato nella relazione di cura tra paziente e medico (art.1, comma 2); sancisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge (art. 1, comma 1); promuove e valorizza la relazione di cura e fiducia tra medico e paziente che proprio sul consenso informato deve basarsi (art. 1, comma 2); esplicita le informazioni che il paziente ha diritto di ricevere (art. 1, comma 3); stabilisce le modalità di espressione del consenso e del rifiuto di qualsivoglia trattamento sanitario, anche (ma non solo) necessario alla sopravvivenza (art. 1, commi 4 e 5); prevede l’obbligo per il medico di rispettare la volontà espressa dal paziente (art. 1, comma 6).

All’art. 4 prevede poi l’istituto delle DAT (disposizioni anticipate di trattamento): ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, può esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario», che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1).

Il medico è tenuto al rispetto delle DAT (che devono essere redatte secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 6), potendo egli disattenderle, in accordo con il fiduciario, soltanto «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» (art. 4, comma 5).

L’art. 3 (disposizione censurata) disciplina il caso in cui il paziente sia una persona non (pienamente) capace di agire (cfr. art. 1, comma 5): minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno.

In quest’ultimo caso, se la nomina dell’Ads prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere» (art. 3, comma 4).

Quindi per la disposizione in commento, qualora non vi siano DAT, se l’amministratore di sostegno rifiuta le cure e il medico le reputa invece appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al Giudice Tutelare, su ricorso dei soggetti legittimati a proporlo.

Per la Corte queste norme, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice rimettente, non disciplinano l’istituto dell’amministrazione di sostegno e, in particolare, non disciplinano le modalità di conferimento dei poteri all’amministratore nella relazione di cura, o il loro esercizio.

L’art. 3 regola solo il caso in cui sia stata disposta la misura di protezione ed il beneficiario sia sottoposto o potrebbe essere sottoposto a trattamenti sanitari, con necessità che venga espresso il consenso o il rifiuto informato a detti trattamenti sanitari anche – ma non soltanto – necessari alla sopravvivenza.

L’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, l. n. 219/2017 deve quindi essere condotta alla luce dell’istituto dell’Ads che, tuttavia, è e resta regolato dagli artt. 404 e ss cc: è in base alla disciplina codicistica che devono essere individuati i poteri spettanti al Giudice Tutelare al momento della nomina dell’amministratore di sostegno (non contemplati nella l. n. 219/2017).

La Corte si sofferma, quindi, nel riassumere gli approdi interpretativi dell’istituto di protezione in commento.

L’ambito dei poteri dell’amministratore è sempre correlato alle caratteristiche del caso concreto (sentenze n. 51/2010 e n. 440/2005): il decreto di nomina deve contenere le indicazioni concernenti l’oggetto dell’incarico, gli atti che l’Ads ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 3, cod. civ.), e la periodicità con cui l’Ads deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 6, cod. civ.).

La ratio dell’istituto è proteggere, senza mortificare, la persona affetta da una disabilità, che può essere di qualunque tipo e gravità (Cass. n. 22602/2017, Corte Cost. n. 114/2019).

Le norme consentono al giudice tutelare «di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, in modo tale da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile a fronte del minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass. n. 11536/2017; n. 22332/2011; n. 25366/2006, n. 13584/2006; n. 17962/2015)” (Corte Cost. n. 114/2019).

Si tratta quindi di un istituto duttile, che può essere plasmato dal giudice sulle necessità del beneficiario, anche grazie all’agilità della relativa procedura applicativa (Cass. n.17962/2015 n. 22332/2011; n. 4866/2010; n. 25366/2006 e n. 13584/2006).

Con il decreto di nomina il Giudice Tutelare «si limita, in via di principio, ad individuare gli atti in relazione ai quali ne ritiene necessario l’intervento» (Corte Cost. n. 114/2019), perché è chiamato ad affidargli, nell’interesse del beneficiario, i necessari strumenti di sostegno con riferimento alle sole categorie di atti al cui compimento quest’ultimo sia ritenuto inidoneo (Cass. n. 25366/2006).

Attribuendo al Giudice Tutelare il compito di modellare l’amministrazione di sostegno in relazione allo stato personale e alle condizioni di vita del beneficiario, il legislatore ha inteso limitare «nella minore misura possibile» (sentenza n. 440 del 2005) la capacità di agire della persona con disabilità: questa la sostanziale differenza con i tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione (che attribuiscono uno status di incapacità, più o meno estesa, con rigide conseguenze legislativamente predeterminate).
Al beneficiario di Ads non si applicano, infatti, le limitazioni dettate per l’interdetto o l’inabilitato i divieti di contrarre matrimonio (Corte Cass. n. 11536/2017) o di donare (sentenza n. 114 del 2019; Corte di Cass. n. 12460/2018): può essere privato della capacità di porre in essere tali atti personalissimi, ma solo quando ciò risponda alla tutela di suoi interessi, e dietro espressa disposizione del giudice tutelare.
Si può ricorrere all’amministrazione di sostegno anche laddove sussistano soltanto esigenze di «cura della persona» (cfr. artt. 405, quarto comma, e 408, primo comma, c.c.), in quanto l’istituto non è finalizzato esclusivamente ad assicurare tutela agli interessi patrimoniali, ma è volto, più in generale, a soddisfarne i «bisogni» e le «aspirazioni» (art. 410, primo comma, cod. civ.), garantendo così adeguata protezione alle persone fragili, in relazione alle loro effettive esigenze (Cass. n. 19866/2018; ordinanza n. 12998/2019).

In conclusione per la Corte Costituzionale, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale.

Nella logica del sistema, è il Giudice Tutelare che, col decreto di nomina dell’Ads, individua l’oggetto dell’incarico e gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.

Spetta sempre al giudice individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, apprestando misure che garantiscano la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della l. n. 219/2017.

Tali misure di tutela devono essere dettate in base alle circostanze specifiche e alle concrete condizioni di salute dell’amministrato, dovendo il Giudice Tutelare affidare all’Ads poteri volti a prendersi cura della persona fragile, più o meno ampi, in considerazione dello stato di salute in cui, al momento del conferimento dei poteri, questi versa.

Nell’attribuire all’amministratore poteri in ambito sanitario, questa specifica valutazione del quadro clinico deve essere effettuata tanto più quando, per la patologia riscontrata, potrebbe manifestarsi l’esigenza di prestare il consenso o il diniego a trattamenti sanitari di sostegno vitale.

In questi casi, infatti, la decisione del giudice incide profondamente su «diritti soggettivi personalissimi» (Cass. n. 14158/2017; ordinanza n. 12998/2019), e quindi il conferimento o meno del potere di rifiutare tali cure deve considerare il concreto stato di salute del beneficiario in quel dato momento.

È la ratio dell’istituto di protezione che impone al giudice di modellare, anche in ambito sanitario, i poteri dell’amministratore sulla persona e sulle necessità concrete del beneficiario, stabilendone volta a volta l’estensione nel suo solo interesse.

L’adattamento alle esigenze è, poi, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina: il Giudice Tutelare deve essere periodicamente aggiornato dall’amministratore sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario (art. 405, quinto comma, numero 6, c.c.), e può modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte nel decreto di nomina (art. 407, quarto comma, c.c.). Può essere chiamato a prendere gli opportuni provvedimenti – su ricorso del beneficiario, del pubblico ministero o degli altri soggetti di cui all’art. 406 c.c. – in caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza dell’amministratore nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste della persona con disabilità (art. 410, secondo comma, cod. civ.).

In conclusione, l’esegesi dell’art. 3, commi 4 e 5, della l. n. 219/2017, tenuto conto dei principi che conformano l’amministrazione di sostegno, porta a negare che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita.

Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: ma spetta al Giudice Tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o meno il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

E tale attribuzione avviene con le modulazioni e le garanzie del procedimento giurisdizionale, compresa una compiuta istruttoria su quegli aspetti personalissimi che caratterizzano ogni individuo.

Il rapporto tra Ads e medico di cui si occupa l’art. 3 comma 5, si pone quindi a valle nel provvedimento di nomina dell’AdS, quando il potere di rappresentanza nel rapporto di cura è già stato conferito e disciplinato dal Giudice Tutelare.

 

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