La Corte d’Appello di Venezia muta il “collocamento” di una figlia subordinandolo al trasferimento di residenza del padre (a cura e spese della madre)

Nell’ambito di un procedimento di affidamento della figlia ai sensi dell’art. 337 bis c.c. e ss, la Corte d’Appello di Venezia con un provvedimento del 28.7.2018, a modifica di un decreto del Tribunale per i Minorenni, che aveva affidato la figlia in via condivisa ai genitori con collocamento presso il padre nella località di residenza di quest’ultimo, ha disposto il trasferimento della figlia presso la madre in un’altra località distante 90 km dalla prima “solo dopo che quest’ultima abbia stipulato un contratto di locazione di appartamento nel medesimo comune che il padre potrà e dovrà occupare nei periodi in cui starà con la figlia”.

La CTU esperita aveva condotto il consulente d’ufficio ad affermare come “imprescindibile presupposto al trasferimento della minore” il fatto che la madre “realizzi in concreto le condizioni perché” il padre “possa stare” (e cioè risiedere) nella località di residenza della sua ex compagna.  

Per tale motivo la Corte d’Appello di Venezia ha accolto la richiesta della madre di collocare in via prevalente la figlia presso di sé, ma alla condizione che essa stipuli “un contratto di locazione di appartamento nel medesimo comune che il padre potrà e dovrà occupare nei periodi in cui starà con la figlia” secondo il calendario stabilito dalla CTU (dalla domenica sera al giovedì pomeriggio).

In tal modo la Corte ha imposto alla madre un facere (la stipulazione di un contratto di locazione) ed un onere economico e al padre una sorta di domicilio coatto (in una località molto distante dal suo luogo di residenza), quale condizione di efficacia del provvedimento assunto.

Della legittimità di una simile statuizione (peraltro acriticamente derivata dalle singolari indicazioni del CTU) è più che lecito dubitare.

Le prescrizioni dirette alla madre sono, invero, del tutto atipiche e non paiono trovare riscontro in alcuna disposizione normativa.

Ma ciò che suscita perplessità ancor maggiore è l’obbligo di residenza imposto al padre quale condizione per continuare a godere del diritto di relazionarsi con la figlia.

Infatti, il soggiorno “obbligato” impostogli dal giudice di appello pare porsi in contrasto con l’art. 13 della Costituzione, che non ammette alcuna forma di restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei solo modi e casi previsti dalla legge.

Sono, quindi, due le eccezioni alla limitazione della libertà personale e fanno riferimento a due importanti principi. Il primo è quello di riserva giurisdizionale, per cui solo la magistratura, organo terzo ed imparziale, può restringere la libertà personale dei singoli, per le garanzie di obiettività che fornisce e per l’obbligo di motivazione dei suoi provvedimenti. Il secondo è quello della riserva di legge assoluta e rinforzata, secondo il quale solo una legge può stabilire in quali casi e modi la libertà del singolo sia sacrificabile.

Si tratta, come è noto, di casi di restrizione della libertà personale legati ad esigenze di tutela della salute pubblica o della sicurezza o alla commissione di reati, non certo casi come quello che ci occupa, in cui un giudice ha deciso peraltro senza una particolare motivazione, se non recependo sic et simpliciter il parere di un ausiliario, dove un genitore debba vivere per poter frequentare la figlia.

Ogni cittadino ha, invero, il pieno diritto, anch’esso costituzionalmente garantito, di circolare liberamente e di scegliere il luogo della propria residenza con lo scopo di realizzare le proprie aspirazioni e di soddisfare le proprie necessità, senza subire limitazioni da parte dell’autorità giudiziaria (fatta eccezione per quelle legate a motivi sanitari e di sicurezza pubblica).

Ci si chiede, quindi, se la decisione della Corte che ha costretto di fatto il padre (“potrà e dovrà” sono le sue parole) a modificare la propria residenza o domicilio, per mantenere un rapporto con la figlia, sia compatibile col diritto costituzionalmente garantito della libertà personale e con quello afferente alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato, sancito dall’art. 13 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
 

 

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