La residenza familiare: quali limiti al diritto di abitazione ed uso del coniuge superstite?

Con la sentenza n.12042/2020, la Corte di cassazione ha ribadito che il diritto di abitazione nella residenza familiare che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, comma secondo, c.c.) viene immediatamente acquisito dal coniuge al momento dell’apertura della successione e può avere ad oggetto soltanto l'immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare.
Il diritto del coniuge superstite, pertanto, in caso di immobile di proprietà esclusiva del de cuius, si estende all’intero bene senza alcun limite, non potendo essere contenuto nel limite della sola porzione di immobile sufficiente al suo bisogno alloggiativo, nè può mai estendersi ad una ulteriore e diversa unità immobiliare, autonoma rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompresa nello stesso fabbricato, ma non utilizzata per le esigenze abitative della comunità familiare.
IL CASO – Due figli coeredi pro quota, assieme alla madre e ad altri fratelli, del medesimo immobile lasciato per successione del padre, agivano nei confronti di questi ultimi per ottenere la limitazione del diritto di abitazione della madre ad uno spazio conforme alle sue minori esigenze abitative, oltre all’immissione nel possesso delle restanti parti dell’immobile occupate da terzi. Chiedevano inoltre il ristoro dei frutti del bene immobile non goduto e la sua divisione.
I ricorrenti lamentavano infatti che l’immobile era occupato, oltre che dalla madre (al piano terra), da uno dei fratelli con la moglie (al primo piano) e dalla figlia con il genero (al secondo piano).
Il giudice di primo grado aveva rigettato le domande, in quanto non risultava provato che la residenza familiare, al momento della morte del de cuius fosse limitata ad una porzione dell’immobile, ed aveva altresì rigettato le domande di divisione, di immissione nel possesso dell’immobile e di ristoro dei frutti. 
La Corte d’appello di Palermo, a conferma della sentenza di primo grado, precisava che non è possibile porre dei limiti all’uso e al diritto di abitazione del coniuge superstite, ai sensi degli artt.1021 e 1022 c.c., riducendolo al solo spazio necessario al suo fabbisogno, potendo lo stesso godere dell’intera superficie dell’immobile, come pure non è possibile limitare l’esercizio di tale diritto, ben potendo il coniuge superstite consentire il godimento del bene a terzi.
Il figlio, proponeva ricorso per Cassazione affidato a due motivi.
LA DECISIONE – La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, in premessa, richiamandosi al precedente orientamento (SS.UU. n. 4847/2013) evidenzia che al coniuge superstite spetta il diritto di abitazione ai sensi dell’art.540, comma secondo, c.c., automaticamente, “secondo la regola dei legati di specie (art.649 c.c.)” con la conseguenza che “sin dall’apertura della successione, sia compresa nella comunione la sola nuda proprietà dell’alloggio. I coeredi, nudi proprietari, non hanno diritti dipendenti dal mancato godimento dell’immobile, che compete al coniuge”.
In merito alla misura dell’acquisto precisa che “non è definita in relazione ai bisogni dell’abitatore, non applicandosi l’art.1022 c.c.. L’oggetto del diritto di abitazione del coniuge è definito invariabilmente dalla misura in cui la casa di proprietà del defunto era destinata a residenza familiare. Il successore nella nuda proprietà non può costringere il coniuge a concentrare l’esercizio del suo diritto solo sulla parte della cosa sufficiente a soddisfare lo stretto bisogno dell’alloggio”.

Quindi, ha ribadito “che il diritto di abitazione riservato al coniuge superstite può avere ad oggetto soltanto l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare”.

In conclusione

“le scelte del coniuge superstite, successive alla morte del de cuius, di consentire l’utilizzazione del bene a uno dei figli o ad altri congiunti, restringendo il proprio godimento a una parte della cosa, non configura un’ipotesi di estinzione del diritto di uso e abitazione conseguiti ex lege, e non possono essere invocate per limitare o ridurre l’esercizio del diritto di vivere alle stesse condizioni precedenti la morte del coniuge”.

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