Il ruolo della medicina narrativa

L’art. 2, comma terzo della Carta dei diritti del bambino inguaribile annovera tra i percorsi di educazione terapeutica la Medicina Narrativa.
La narrazione è un’attività essenziale nella vita di ciascuno per riflettere, dare senso e pienezza alla propria esistenza come individui e come genere umano.
La valorizzazione del metodo narrativo in medicina è l’esito di un mutamento radicale di prospettiva: dall’avere una malattia (spiegata da un punto di vista fisiologico, chimico, fisico) all’essere ammalati (malattia come esperienza umana).
Comprendere cosa significhi essere malati risponde al bisogno fondamentale di vivere, perché la narrazione è vita, è pienezza della vita, è significato e significante, è riconoscimento di sé, è umanizzazione.
È ridare centralità alla persona malata e alla sua esperienza, rendendola protagonista: comprendere l’esperienza-malattia, viverla consapevolmente e pienamente, raccontarsi e raccontare ciò che si prova, anche universalizzando la propria esperienza, educa, aiuta e cura.
Questo approccio non si pone in contrasto con il sapere scientifico: la narrazione è da sempre nella storia medica lo strumento principe della diagnosi.
Oggi si è compreso che l’ascolto della narrazione del paziente consente altresì di co-costruire la cura, pianificare e personalizzare il percorso terapeutico.


La Medicina Narrativa non è quindi una raccolta romanzata delle storie di malattia, ma un vero e proprio metodo scientifico, che consente ai professionisti sanitari di integrare e valorizzare nella pratica clinica e nella ricerca, anche sperimentale, le esperienze delle persone che vivono con una patologia e quelle di chi si prende cura di loro.


È una disciplina che unisce la scientia artis con la capacità di ascolto e con l’intelligenza emotiva.
Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, il termine Medicina Narrativa indica “una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa”.
Il fine dichiarato è la costruzione di un percorso condiviso e personalizzato di cura.
La Medicina Narrativa (NBM) si integra quindi con l’Evidence-Based Medicine (EBM) per rendere le decisioni clinico-assistenziali più efficaci ed appropriate.
L’adeguatezza e la proporzionalità della cura, ma anche la stessa concezione di guarigione contengono dimensioni molto soggettive, che possono emergere solo nel dialogo tra paziente e medico e nell’alleanza terapeutica.
Se la malattia è declinata come guasto, allora unica funzione della medicina sarà quella di riparare un corpo malfunzionante.
Ma se, invece, malattia è considerata come “deportazione forzata in territorio straniero”, come un viaggio del malato e di chi gli eroga le cure, allora sono necessari la narrazione e l’ascolto (cfr. Sandro Spinsanti, La Medicina vestita di narrazione, Il pensiero Scientifico Editore, 2016).
Spesso infatti il ritorno alla salute non è possibile e la salute può diventare un nuovo concetto, il ristabilimento di un nuovo equilibrio.
La salute diventa crescita: è una scelta dell’individuo, alla quale non si può essere spinti, ma sicuramente accompagnati dal personale medico.
In caso di malattie inguaribili, ma curabili, la terapia diventa anche consapevolezza della propria fragilità.
Il concetto di “RECOVERY” (riprendersi, ristabilirsi, non guarire) richiama il processo di evoluzione interiore, di arricchimento, di consapevolezza e accettazione dei propri limiti (cfr. Sandro Spinsanti, opera citata).
L’art. 8, comma secondo della Carta dei diritti del bambino inguaribile esplicita che “curare non significa solo guarire”.
E il successivo comma quarto precisa che “guarire, curare, prendersi cura, accompagnare sono elementi progressivi dello stesso processo terapeutico, rispetto al quale vanno misurate l’adeguatezza e la proporzionalità degli interventi”.


La formazione del medico e del paziente deve tendere quindi ad un modello di cura diverso, volto alla co-costruzione del percorso di salute.


E in caso di malattia inguaribile, si può anche co-costruire la morte.
Anche la morte va affrontata assieme al paziente, attraverso un dialogo intenso, ripetuto, veritiero tra persona malata e medico, anche quando il paziente è un minore.
Il bambino è persona e autonomo soggetto di diritti, e va quindi curato in funzione del suo benessere, al di là della difficoltà degli adulti ad accettare il possibile decorso infausto della malattia.
Il bambino va messo al centro dell’intervento medico, coinvolgendolo direttamente nelle comunicazioni, nelle informazioni, nella ricerca dei suoi bisogni, nell’ascolto della sua volontà.
Al bambino in condizione di particolare fragilità, ivi comprese le malattie non guaribili e le situazioni ad evoluzione terminale, devono essere garantiti trattamenti medici, infermieristici e di sostegno (psichico, sociale, spirituale) adeguati e proporzionati alla specifica condizione, con astensione da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione dei trattamenti” (art. 9, comma primo).
In ogni condizione di salute reversibile o irreversibile, di prospettive di recupero o di cronicità/morte, “la conversazione è l’abito ideale della medicina”, che quindi diviene dialogo, narrazione.
Questi gli strumenti per cogliere e soddisfare oltre ai bisogni clinici anche “quelli emozionali, psicologici e spirituali” (art. 9, comma primo).
Oggi sono disponibili anche le evidenze scientifiche della validità di questo approccio metodologico: la medicina narrativa conduce a diagnosi più approfondite, ottimizza la qualità del servizio, ha un impatto positivo sull’esito delle cure.
I malati (e i loro familiari) aderiscono con serenità al percorso terapeutico, riducendo ansie e sofferenza perché consapevoli della malattia e dei suoi sintomi. E con l’equilibrio emotivo del malato migliora concretamente la sua qualità di vita.

 

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