La posizione delle Corti internazionali sui rapporti tra litispendenza e riconoscimento delle decisioni, e sulla necessità di adottare tempestivamente provvedimenti provvisori per regolare la vita familiare dei genitori e del bambino

IL CASO.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) è stata chiamata a pronunciarsi sul punto se una decisione sulla separazione dei coniugi e l’affidamento del figlio minore resa dal Tribunale di Teramo ben sei anni dopo la proposizione della domanda costituisca o meno violazione dell’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) sul divieto di ingerenza dell’autorità pubblica nella vita privata e familiare delle persone.

La Corte EDU ha esaminato solo un segmento di una vicenda estremamente complessa, che ha dato luogo a diverse pronunce da parte dei tribunali sia rumeni che italiani, e che conviene riepilogare per sommi capi anche perché ha costituito l’occasione per un’interessante pronuncia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’UE sulla nozione di litispendenza ai sensi del Regolamento 2201/2003 (Bruxelles II bis).

IL FATTO. 

La vicenda concerne una coppia formata da un cittadino italiano e da una cittadina rumena, che nel 2005 si sono sposati, hanno avuto un bambino l’anno successivo e vivevano con il figlio in Italia.
A novembre del 2006 la madre si recava a Bucarest con il figlio per una vacanza e, dato che i rapporti con il marito si erano deteriorati, decideva di non tornare più in Italia (senza il consenso del marito).
Normalmente il mancato ritorno del minore costituisce un’ipotesi di sottrazione ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori. La Convenzione, di cui sono parti sia l’Italia che la Romania, in caso di sottrazione, attribuisce al genitore che lamenta la violazione del proprio diritto di custodia la facoltà di instaurare un procedimento per ottenere il ritorno del minore davanti al giudice dello Stato dove questi è stato condotto. Senonché, a quanto è dato capire, anziché percorrere la strada maestra della causa di sottrazione di minori in Romania, il padre ha preferito instaurare in Italia un procedimento penale per sottrazione di minore, depositando una querela, che però è stata archiviata per difetto di giurisdizione nel 2007. 
Il padre non ha fatto opposizione avverso l’archiviazione del procedimento penale ed ha invece instaurato dinanzi al Tribunale di Teramo un procedimento per ottenere la separazione e l’affidamento esclusivo del minore.

In questo procedimento la madre si costituiva chiedendo a sua volta l’affidamento esclusivo del minore ed un contributo per il suo mantenimento. Di seguito ci occuperemo solo delle questioni relative all’affidamento / responsabilità genitoriale, con la precisazione che le varie decisioni hanno trattato analoghe questioni anche con riferimento al tema delle obbligazioni alimentari della famiglia, disciplinate dal Regolamento 4/2009.

IL GIUDIZIO ITALIANO DI SEPARAZIONE E LA PARALLELA INSTAURAZIONE DEL PROCEDIMENTO DI DIVORZIO IN ROMANIA.

Con ordinanza del 4 ottobre 2007, il Tribunale di Teramo adito nella causa di separazione affidava provvisoriamente il bambino alla madre, che si era trasferita in Romania, stabilendo condizioni e termini per il diritto di vista del padre.

A questo punto, per varie ragioni, ivi compreso uno sciopero dei magistrati e la richiesta dei genitori di un termine per esperire un tentativo di conciliazione, il procedimento è continuato fino al 2009 senza che fosse stata adottata alcuna ulteriore decisione.

Nel settembre del 2009, ancora pendente il giudizio di separazione in Italia, la madre si rivolgeva al Tribunale di Bucarest per ottenere il divorzio, l’affidamento esclusivo del minore ed un contributo al suo mantenimento.
Il padre si costituiva nel giudizio rumeno, sollevando un’eccezione di litispendenza con il giudizio italiano avente ad oggetto la separazione e la responsabilità genitoriale. Tale eccezione non veniva accolta e nel maggio 2010 il Tribunale di Bucarest decideva di affidare il minore alla madre, regolando il diritto di visita del padre e stabilendo un assegno di mantenimento a suo carico.
La sentenza rumena è passata in giudicato il 12 giugno 2013, a seguito della decisione della Corte d’appello di Bucarest (3° grado di giudizio), che ha confermato la sentenza del Tribunale superiore di Bucarest (2° grado di giudizio), che aveva rigettato l’eccezione di litispendenza per il fatto che il giudizio italiano di separazione ha un effetto diverso rispetto al giudizio romeno di divorzio perché non scioglie il matrimonio, ma dispone solo in ordine ai beni del coniugi e alla custodia del minore.

Nel frattempo i coniugi hanno continuato a scontrarsi sull’affidamento del minore nel giudizio italiano davanti al Tribunale di Teramo. 
Nell’ambito di questo giudizio, la madre ha chiesto incidentalmente il riconoscimento della intervenuta sentenza della Corte d’appello di Bucarest in Italia ai sensi del Regolamento Bruxelles II bis.
Il Regolamento Bruxelles II bis prevede il riconoscimento automatico delle decisioni dei giudici degli Stati UE in materia di divorzio e responsabilità genitoriale, salvo che non ricorrano i motivi ostativi di cui agli artt. 22 e 23 incentrati sulla violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, sul contrasto di giudicati, o sulla contrarietà all’ordine pubblico.

Con sentenza dell’8 luglio 2013, il Tribunale di Teramo negava il riconoscimento della sentenza rumena per violazione delle norme europee sulla litispendenza e, capovolgendo la prima decisione provvisoria sull’affidamento del bambino alla madre, attribuiva l’affidamento esclusivo al padre, ordinandone il ritorno in Italia, e autorizzando la madre a vederlo esclusivamente in Italia, sotto il controllo dei servizi sociali.
La madre allora proponeva appello contro tale sentenza, chiedendo preliminarmente, in via incidentale, il riconoscimento della sentenza della Corte d’appello di Bucarest che aveva respinto l’eccezione di litispendenza e confermato la pronuncia di divorzio e affidamento del minore alla madre.

LA DISCIPLINA EUROPEA DELLA LITISPENDENZA.

Apriamo una parentesi per chiarire che le norme sulla litispendenza contenute nel Reg. Bruxelles II bis in materia di separazione, divorzio e responsabilità genitoriale, ma anche negli altri regolamenti contenenti norme uniformi sulla giurisdizione in materia di diritto internazionale privato, sono volte ad assicurare il coordinamento tra più giudizi riguardanti la stessa domanda o domande connesse, che siano simultaneamente pendenti davanti ad autorità giurisdizionali di diversi Stati membri, al fine di prevenire la pronuncia di provvedimenti contrastanti, che potrebbero costituire un ostacolo alla libera circolazione delle decisioni all’interno dell’Unione europea.
Il criterio per determinare la pendenza della lite è individuato in via generale dall’art. 16 del Reg. 2201/2003, a norma del quale il giudice si considera adito (a seconda che la forma dell’atto introduttivo sia quella del ricorso, come nella separazione e nel divorzio, o della citazione, come nel caso della domanda di annullamento) nel momento in cui l’atto introduttivo è stato depositato presso il giudice o consegnato all’autorità competente per la notifica al convenuto, purché successivamente l'attore non abbia omesso di prendere tutte le misure cui era tenuto affinché fosse effettuata, rispettivamente, la notificazione al convenuto o il deposito dell’atto presso il giudice. Il momento della pendenza della lite è quindi rimesso alla volontà dell’attore, essendo determinato dal suo comportamento (il deposito o la notifica dell’atto introduttivo del giudizio).
Nella materia matrimoniale, la disciplina della litispendenza è dettata dall’art. 19 del Regolamento, il quale stabilisce che “qualora dinanzi ad autorità giurisdizionali di Stati membri diversi e tra le stesse parti siano state proposte domande di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, l'autorità giurisdizionale successivamente adita sospende d'ufficio il procedimento finché non sia stata accertata la competenza dall'autorità giurisdizionale preventivamente adita” (§ 1); “quando la competenza dell’autorità giurisdizionale preventivamente adita è stata accertata, l’autorità giurisdizionale successivamente adita dichiara la propria incompetenza a favore dell'autorità giurisdizionale preventivamente adita” (§ 3).
Pertanto, anche quando non venga formalmente sollevata un’eccezione di litispendenza, il giudice al quale risulti che un altro procedimento è pendente tra le stesse parti in un altro Stato membro deve comunque sospendere d’ufficio il giudizio in attesa della decisione del giudice preventivamente adito; nell’ipotesi in cui questi affermi la propria competenza, il secondo giudice dovrà dichiarare d’ufficio il difetto di giurisdizione in favore del primo giudice.
Il giudice rumeno, invece, non aveva dichiarato la litispendenza del giudizio di divorzio /affidamento rumeno con il giudizio di separazione / affidamento italiano.

Il tema in discussione nella causa di appello italiana era quindi: 
- se il Tribunale di Bucarest avesse errato nel non riconoscere la litispendenza fra il giudizio di separazione / affidamento italiano e il giudizio di divorzio / affidamento rumeno;
- in caso affermativo, se la mancata dichiarazione della litispendenza poteva costituire un motivo ostativo al riconoscimento in Italia della sentenza rumena.

IL GIUDIZIO DI APPELLO ITALIANO, IL RICORSO PER CASSAZIONE E IL RICORSO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA.

Con sentenza del 31 marzo 2014, la Corte d’appello dell’Aquila accoglieva l’appello proposto dalla madre contro il mancato riconoscimento della sentenza rumena, ritenendo che la violazione, da parte del giudice rumeno successivamente adito della disciplina della litispendenza stabilita all’art. 19 del Reg. Bruxelles II bis non costituisse un motivo per negare il riconoscimento della decisione del giudice rumeno.

Avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila il padre proponeva ricorso per cassazione, cercando di far valere che la proposizione della causa di separazione / affidamento in Italia prima di quella di divorzio / affidamento in Romania avrebbe dovuto impedire il riconoscimento della sentenza rumena o sotto il profilo di un contrasto di giudicati o sotto quello della violazione della disciplina della litispendenza.

La Corte di cassazione ha ritenuto di risolvere in primo luogo la questione se la violazione delle regole sulla litispendenza costituiva motivo ostativo per il riconoscimento.
Trattandosi di una questione di interpretazione del Reg. Bruxelles II bis, essa ha ritenuto necessario sollevare ricorso pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).
Attraverso la formulazione di due distinte questioni pregiudiziali, la Corte di cassazione, in sostanza, ha chiesto ai giudici di Lussemburgo:
- se la violazione delle disposizioni relative alla litispendenza previste dall’art. 19 del Reg. Bruxelles II bis configuri una violazione dell’ordine pubblico processuale tale da costituire un motivo ostativo al riconoscimento della decisione rumena ai sensi dell’art. 22 lett. a) e 23 lett. a) del Reg. Bruxelles II bis che escludono il riconoscimento delle decisioni in materia, rispettivamente, di divorzio e di responsabilità genitoriale in caso di loro contrarietà all’ordine pubblico; o
- se le norme sulla litispendenza concorrano a determinare la competenza giurisdizionale, e in quanto tali debbano essere escluse dal giudizio sulla violazione dell’ordine pubblico ai sensi dell’art. 24, 2° periodo del Regolamento.

LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.

Con sentenza del 16 gennaio 2019 in causa C-386/17 la Corte  di Giustizia, premesso che se la domanda di affidamento è accessoria ad una domanda sullo stato, cioè ad una domanda di separazione o divorzio, si applicano le norme sulla litispendenza in materia di separazione o divorzio (§36), pur avendo statuito che sussisteva litispendenza tra il giudizio italiano di divorzio e quello romeno di separazione  perché le domande relative alle stesse parti possono avere anche oggetto distinto purché questo ricada su separazione, divorzio o annullamento del matrimonio (§35), tuttavia, ha ritenuto che la violazione delle norme sulla litispendenza non configura una violazione di ordine pubblico tale da impedire il riconoscimento della decisione. 
La Corte è pervenuta a tale conclusione in base ai due periodi dell’art. 24 del Regolamento.
Il 1° periodo dell’art. 24 vieta al giudice del riconoscimento di riesaminare la competenza del giudice che ha pronunciato la sentenza di cui si chiede il riconoscimento, in quanto tale riesame sarebbe contrario allo spirito di fiducia e collaborazione che è alla base della normativa unionale. E la sentenza ha ritenuto che nel momento in cui il giudice a cui è richiesto il riconoscimento esamina se le regole sulla litispendenza sono rispettate o meno, esso compie, di fatto, un riesame della competenza giurisdizionale del giudice dello Stato membro d’origine.
Il 2° periodo dell’art. 24 stabilisce invece che la violazione delle norme di competenza di cui agli artt. 3-14 non costituisce nemmeno un motivo di ordine pubblico. A questo riguardo, la sentenza ha valorizzato il fatto che la regola sulla litispendenza, benché sia dettata dall’art. 19 e quindi non sia ricompresa fra le regole di competenza menzionate dall’art. 24, è pur sempre contenuta nel Capo II del Regolamento rubricato “Competenza”. 

La Corte ha quindi concluso che:
nonostante il fatto che il divieto sancito dall’articolo 24 di tale regolamento non contenga un riferimento espresso all’articolo 19 di detto regolamento, un’asserita violazione di quest’ultimo articolo non consente all’autorità giurisdizionale preventivamente adita, pena incorrere nel riesame della competenza dell’autorità giurisdizionale successivamente adita, di negare il riconoscimento di una decisione adottata da quest’ultima in violazione della norma di litispendenza contenuta in tale disposizione (v., per analogia, per quanto attiene all’articolo 15 del regolamento n. 2201/2003, sentenza del 19 novembre 2015, P, C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763, punto 45)” (§ 52).

 “Occorre aggiungere che il giudice dello Stato richiesto non può, salvo mettere in discussione la finalità dei regolamenti n. 2201/2003 e n. 44/2001, negare il riconoscimento di una decisione promanante da un altro Stato membro per il solo motivo che esso ritiene che, in tale decisione, il diritto nazionale o il diritto dell’Unione sia stato male applicato (v., in tal senso, sentenze del 16 luglio 2015, Diageo Brands, C‑681/13, EU:C:2015:471, punto 49, e del 19 novembre 2015, P, C‑455/15 PPU, EU:C:2015:763, punto 46)” (§ 54).

Tale analisi è corroborata dal fatto che i motivi di non riconoscimento di una decisione per sua contrarietà manifesta all’ordine pubblico, di cui all’articolo 22, lettera a), e all’articolo 23, lettera a), del regolamento n. 2201/2003 nonché all’articolo 34 del regolamento n. 44/2001, devono essere interpretati restrittivamente in quanto costituiscono un ostacolo alla realizzazione di uno degli obiettivi fondamentali di tali regolamenti, come rammentato al punto 46 della presente sentenza (v., in tal senso, sentenza del 19 novembre 2015, P, C‑455/15, EU:C:2015:763, punto 36)” (§ 55).

Di conseguenza, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che le norme sulla litispendenza di cui all’articolo 27 del regolamento n. 44/2001 e all’articolo 19 del regolamento n. 2201/2003 devono essere interpretate nel senso che, qualora, nell’ambito di una controversia in materia matrimoniale, di responsabilità genitoriale o di obbligazioni alimentari, l’autorità giurisdizionale successivamente adita abbia adottato, in violazione di tali norme, una decisione poi divenuta definitiva, esse ostano a che le autorità giurisdizionali dello Stato membro cui appartiene l’autorità giurisdizionale preventivamente adita neghino, per questo solo motivo, il riconoscimento di tale decisione. In particolare, tale violazione non può, di per sé, giustificare il mancato riconoscimento di detta decisione per sua contrarietà manifesta all’ordine pubblico di tale Stato membro” (§ 56).

LA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE.

A seguito della decisione della Corte di Giustizia, la Corte di cassazione non ha potuto configurare la violazione delle norme sulla litispendenza quale motivo ostativo al riconoscimento della decisione rumena e si è quindi dedicata ad analizzare gli altri motivi ostativi al riconoscimento che erano stati allegati, fondati sugli artt. 22 lett. c) e 23 lett. e) del Reg. Bruxelles II bis, che escludono il riconoscimento della sentenza straniera per contrasto con un precedente giudicato rispettivamente in materia matrimoniale o di responsabilità genitoriale nello Stato membro in cui esso è richiesto.

Per cominciare, a giudizio della Corte di cassazione non vi era violazione dell’art. 22 lett. c) “dal momento che, limitatamente allo status coniugale, la pronuncia passata in giudicato sulla separazione personale, producendo non il definitivo scioglimento del vincolo matrimoniale ma soltanto la condizione necessaria ma non sufficiente per proporre la domanda di divorzio, non può dirsi identica a quella di divorzio” (Cass. sent. 13412/2019 che riprende ord. 15183/2017). E’ interessante notare che per la Cassazione separazione e divorzio non sono considerate la stessa domanda e la stessa causa nella prospettiva del contrasto tra giudicati, mentre, come detto, per la Corte di Giustizia lo sono nella prospettiva della litispendenza, che viene, quindi, intesa in modo ampio e non richiede che le due cause siano del tutto identiche.

La Cassazione ha escluso anche la violazione dell’art. 23 lett. e) “dal momento che le ragioni connesse all'incompatibilità con altra decisione dello Stato membro o di uno Stato terzo riguardano esclusivamente quelle successive a quella di cui si chiede il riconoscimento” e, nel caso in esame, la decisione italiana sull’affidamento del figlio minore era stata adottata dopo il passaggio in giudicato della decisione romena.

Pertanto, non avendo ritenuto sussistente alcun motivo ostativo al riconoscimento della decisione rumena, con sentenza del 17 maggio 2019, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso del padre.

Nel frattempo, nelle more del giudizio di cassazione, il padre ha cercato di ottenere il ritorno del minore attraverso una richiesta urgente al Tribunale di Teramo prima, e all’autorità centrale italiana poi. Con una nota del 22 maggio 2015 l’autorità centrale italiana ha informato il padre che non si poteva più parlare di sottrazione internazionale di minori, in quanto il minore risiedeva oramai da anni in Romania con la madre.

Ma la vicenda non si è conclusa qui, perché il padre ha tentato un’ulteriore iniziativa giudiziale.
Ed infatti, in data 23 dicembre 2015, ha proposto ricorso alla Corte EDU, chiedendo di accertare che il prolungarsi del procedimento di separazione e affidamento del figlio in Italia costituiva violazione, da parte dello Stato italiano, del suo diritto al rispetto della vita privata e familiare ai sensi dell’art. 8 della CEDU, tenuto conto del fatto che, in questo torno di tempo, la moglie aveva avuto la possibilità di ottenere la pronuncia in Romania la quale, oltre a pronunciare il divorzio le aveva attribuito l’affidamento esclusivo del figlio.

LA SENTENZA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO.

Pronunciandosi in ordine alla doglianza del ricorrente, la Corte EDU ha ritenuto di valorizzare alcuni fattori che, in qualche modo, giustificavano la lunghezza del processo italiano.
In primo luogo, il fatto che il processo è stato complicato a causa del secondo procedimento instaurato dalla madre in Romania. 
In secondo luogo, il fatto che la causa di separazione e affidamento in Italia non costituiva lo strumento ottimale per ottenere il ritorno del minore, dato che all’uopo il padre avrebbe dovuto agire con un ricorso ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1980 sulla sottrazione dei minori.
Ma soprattutto, la Corte ha considerato che il Tribunale di Teramo aveva impiegato un tempo ragionevolmente breve, di 4 mesi e 12 giorni, per pronunciare un provvedimento sull’affidamento del minore (seppure provvisorio), regolando in questa maniera la vita familiare dei genitori e del bambino. Il provvedimento del 4 ottobre 2007, che affidava il minore alla madre, fissandone presso di lei la residenza abituale, non era stato impugnato dal padre davanti alla Corte d’appello (§§ 69, 71).
Pertanto, la Corte EDU ha stabilito che nessuna violazione dell’art. 8 era stata perpetrata dallo Stato italiano e che, al contrario, le autorità giurisdizionali avevano preso tutti i provvedimenti ragionevolmente possibili per il mantenimento di un rapporto tra il minore ed entrambi i genitori (§ 73). 


 

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