Il padre, sottoposto a custodia cautelare in carcere, può chiedere la revoca della misura solo se prova l’impedimento assoluto della madre ad assistere il figlio di età inferiore ai sei anni

Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice d’appello cautelare, con ordinanza 4.12.2018 aveva  rigettato l’istanza di revoca o modifica della misura cautelare della custodia in carcere avanzata da Tizio ex art. 275 c.4 c.p.p. avendo ritenuto insussistente il presupposto dell’assoluta impossibilità per la madre a dare assistenza alla loro figlia minore di sei anni.

L’imputato aveva proposto ricorso per cassazione avverso tale decisione, censurando la contraddittorietà e l’illogicità della sua motivazione. Il Tribunale – infatti - pur dando atto dell’impedimento assoluto della madre a prestare assistenza alla figlia minore, aveva ritenuto che la presenza dei genitori del ricorrente e di quelli della moglie fosse elemento sufficiente ad escludere il presupposto normativo della carenza di assistenza alla figlia minore. Al contrario, secondo il ricorrente, era stata fornita prova dell’impedimento dei nonni paterni ad assicurare un adeguato supporto affettivo ed educativo alla nipote, in quanto impegnati nella gestione della propria azienda agricola.

La Suprema Corte con sentenza n. 20886/2019, ha respinto il gravame, ribadendo il consolidato orientamento giurisprudenziale a mente del quale

in tema di divieto di custodia cautelare in carcere per l’imputato padre di prole non superiore a sei anni, la condizione di madre – lavoratrice rileva quale impedimento assoluto ad assistere i figli, a condizione che venga  adeguatamente dimostrata l’oggettiva impossibilità per la madre di conciliare le esigenze lavorative con l’assistenza alla prole, nonché di avvalersi dell’ausilio di parenti o di altre figure di riferimento, ovvero di strutture pubbliche” (Cass. pen. 18851/2018).

Nello specifico i supremi giudici hanno recepito integralmente le motivazioni dei giudici d’appello, che avevano evidenziato come il ricorrente non avesse fornito prova – che pure gli incombeva – del fatto che  la conduzione dell’azienda agricola da parte dei nonni paterni fosse di loro esclusiva pertinenza, attività non delegabile ad altri soggetti e comunque incompatibile con la possibilità di prestare la propria collaborazione nell’accudimento della minore.

L’onere probatorio che grava sull’imputato è quindi particolarmente stringente e non può essere assolto invocando genericamente l’indisponibilità dei genitori a collaborare nella cura del minore.

Per altro verso, con riferimento all’asserita impossibilità della madre di accudire la figlia per il tempo corrispondente all’impegno lavorativo, la Corte ha richiamato il principio più volte espresso dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale lo svolgimento di attività lavorativa da parte della madre non costituisce di per sé ostacolo tale da impedirle di attendere alla cura della minore, poiché il solo impegno lavorativo di 39 ore settimanali non integra un impedimento assoluto, trattandosi di condizione comune alla maggioranza delle situazioni familiari (Cass. pen. 27000/2009).

 

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