Parto anonimo , diritto del figlio a conoscere le proprie origini per ragioni sanitarie

01 SETTEMBRE 2021 | Parto anonimo | Riservatezza

La Corte di Cassazione con Ordinanza n. 22497/2021 è tornata sul problema ricorrente del conflitto tra il diritto di un figlio adottato a conoscere le proprie origini e il diritto all’anonimato esercitato dalla madre naturale al momento del parto. Si tratta di due diritti fondamentali tra i quali è, quindi, necessario effettuare di volta in volta un “giusto bilanciamento” per determinare quale, in concreto, debba prevalere.

La decisione ripercorre in modo molto completo e puntuale l’evoluzione giurisprudenziale dell’ultimo decennio, sulla quale un importante contributo è derivato dalle pronunce della Cedu, della Corte Costituzionale e della Suprema Corte che si è pronunciata anche a sezioni Unite

L’art. 28 commi 5 e 6, L. 184/1983, prevede che l’adottato possa accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l’identità dei propri genitori biologici (presentando un’apposita istanza al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza) a condizione che abbia compiuto 25 anni di età. Tale diritto viene riconosciuto anche se l’adottato ha un’età minore, ma nella sola ipotesi in cui vi siano “gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psicofisica”. Il Tribunale competente procede all’audizione “delle persone di cui ritenga opportuno l’ascolto” ed assume “tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico” utili a valutare che l’accesso a tali notizie “non comporti grave turbamento all’equilibrio psico-fisico del richiedente”.

La norma in esame, nella formulazione originaria, prevedeva al comma 7, che, in ogni caso, l’accesso alle informazioni non fosse consentito nei confronti della madre che, al momento della nascita del figlio, avesse dichiarato di non voler essere nominata. La Corte Costituzionale, però, con la Sentenza (c.d. additiva di principio) n. 278/2013 ha dichiarato tale disposizione costituzionalmente illegittima nella parte in cui non consenta al giudice di interpellare - su richiesta del figlio istante - la madre naturale (che aveva dichiarato di non voler essere nominata) ai fini di un’eventuale revoca di tale dichiarazione.

La Corte Costituzionale pur ritenendo irragionevole ed in contrasto con gli articoli 2 e 3 della Costituzione l’irreversibilità di tale “segreto”, ha precisato che sarà compito del legislatore disciplinare le modalità di svolgimento dell’interpello, con la finalità di assicurare la massima riservatezza, circoscrivendo adeguatamente le modalità di accesso (anche da parte degli uffici competenti) ed i tipi di dati cui consentire l’accesso.

Successivamente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che, fermo restando quanto previsto dalla precitata sentenza della Corte Costituzionale, il diritto del figlio a conoscere le proprie origini “trova un limite insuperabile allorché la dichiarazione iniziale (della madre naturale) per l’anonimato non sia rimossa in seguito all’interpello e persista il diniego della madre di svelare la propria identità” (Cass. SS. UU. n. 1946/2017).

Le Sezioni Unite hanno, peraltro, sottolineato che la ricerca ed il contatto della madre naturale ai fini dell’interpello devono “essere gestiti con la massima prudenza ed il massimo rispetto” e che vanno garantite la sua “libertà di autodeterminazione” e la sua “dignità”.  In particolare sarà necessario tenere in considerazione l’età della donna, il suo stato di salute e la sua condizione personale e familiare. Inoltre  “la garanzia della assoluta riservatezza delle informazioni acquisite dall’Ufficio giudiziario comporta necessariamente … che il fascicolo sia trattato con peculiari modalità, in fase istruttoria, rimanendo nell’esclusiva disponibilità del giudice ed essendo indisponibile per il ricorrente, che non potrà compulsarlo, essendo abilitato soltanto a estrarre copia del suo ricorso”.

L’Ordinanza in commento , dopo aver ricostruito  lo stato attuale della giurisprudenza ha  compiuto un osservazione importante suggerita dalla peculiarità del caso esaminato:

«Invero, il diritto alla conoscenza biologica delle proprie origini segue una logica anzitutto identitaria, rappresentando quello all’identità personale un diritto fondamentale riconosciuto a ciascun essere umano, ma può nascere anche da un bisogno di salvaguardia della salute e della vita del richiedente, sotteso alla necessità di individuare, ad esempio, particolari patologie di tipo genetico, per le quali sia necessaria un’anamnesi familiare»

Sulla scorta di questa precisazione conferma la decisione della Corte d’appello  nella parte in cui aveva  negato  il diritto della ricorrente a conoscere le proprie origini, ma riconosce il diritto della signora a ricevere le informazioni che possono rilevare per la tutela della sua salute, prevedendo che l’accesso alle informazioni avvenga con le cautele necessarie per salvaguardare anche il diritto all’anonimato della madre

Nel caso giunto all’attenzione della Suprema Corte risolto con l’Ordinanza n. 22497/2021, la madre naturale (di cui era stato chiesto l’interpello) era ormai novantenne e presentava uno stato di salute, anche psichico, grave e deficitario ed un grosso deperimento fisico. Era stata riconosciuta invalida al 100% e soffriva di depressione bipolare. Era assistita dai famigliari con il continuo intervento domiciliare degli operatori sociali. Era, pertanto, in una condizione di “forte vulnerabilità” pur non essendo né interdetta, né inabilitata, né supportata da un amministratore di sostegno.

« Il questa situazione dunque dovendo operare un  bilanciamento «tra il diritto alla riservatezza della madre» ed « il diritto del figlio biologico ad accedere alle informazioni sulla madre e sulla famiglia biologica, tali da permettere una ridefinizione del proprio paradigma identitario” la Corte d’Appello e il Tribunale triestini  avevano  correttamente privilegiato il primo.

Evidente infatti era risultata « l’incapacità della madre naturale di esprimere il consenso a rivelare la propria identità alla figlia”. In altre parole, per l’età e per le condizioni di salute, la madre naturale «non era ormai in grado di esprimere una scelta consapevole in ordine alla revoca dell’anonimato, espressa oltre cinquant’anni prima».

Nel contempo, però, la Suprema Corte ritiene vada garantito, nel rispetto dell’anonimato della madre naturale, l’accesso da parte della figlia alle informazioni sanitarie sulla salute della madre, riguardante le anamnesi famigliari, fisiologiche e patologiche, con particolare riferimento all’eventuale presenza di malattie ereditarie trasmissibili. In questo caso viene, infatti, tutelato il diritto alla vita o alla salute del figlio adottato o di un suo discendente.

Precisa che potrà trattarsi di «una consultazione, meramente cartolare, dei dati sanitari, quali ricavabili dal certificato di assistenza al parto o dalla cartella clinica della partoriente, potrà comportare, non potendosi consentire un accesso indiscriminato al documento sanitario in oggetto, un diritto di accesso sulla base di un quesito specifico, non esplorativo, relativo a specifici dati sanitari e con l’osservanza di tutte le cautele necessarie a garantire la massima riservatezza e quindi la non identificabilità della madre biologica

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