La deindicizzazione per tutelare il diritto all’oblio nell’era di internet

di Avv. Barbara Carnio

La Cassazione Civile con la sentenza n. 36021 del 27.12.2023 ha confermato la pronuncia con cui il Tribunale di Roma ha rigettato la domanda di Tizio volta ad accertare il suo diritto all’oblio in relazione ad alcuni articoli pubblicati da una testata giornalistica online (da lui ritenuti diffamatori) e di deindicizzazione degli stessi (già chiesta a Google ma da questo negata).

Il diritto alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost., art. 10 CEDU e art. 10 Carta di Nizza) ed il diritto alla privacy ed all’identità personale (art. 2 Cost. e art. 8 CEDU) vanno contemperati tra loro applicando il c.d. criterio di “gerarchia mobile”: il giudice quindi deve individuare di volta in volta l’interesse da privilegiare in considerazione dello specifico thema decidendum effettuando un equilibrato bilanciamento tra i diritti in gioco.

Per la giurisprudenza il diritto all’oblio è il “diritto a non subire gli effetti pregiudizievoli della ripubblicazione a distanza di tempo di una notizia, pur legittimamente diffusa in origine, ma non più giustificata da nuove ragioni di attualità”, con conseguente pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza dell’interessato. Tale diritto oggi sul piano applicativo si scontra con la possibilità di conservare e diffondere online notizie, anche risalenti e non più attuali perché superate da eventi successivi.

Alla fattispecie oggetto della decisione non è applicabile, ratione temporis, il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati emanato il 27.04.2016 e vigente in Italia dal successivo 25.05.2018.

Quindi, con riferimento al diritto all’oblio nel contesto digitale, va richiamata la pronuncia della Corte di Giustizia, Grande Sezione del 13.05.2014 C-131/12 che interpretando l’art. 2, lett. b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 24.10.2995 ha affermato che costituisce “trattamento dei dati personali” “l’attività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su internet, nell’indicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza”. Il motore di ricerca è il “responsabile del trattamento”.

In materia di tutela di diritto all’oblio è necessario accertare se l’interessato abbia diritto a che una certa informazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, a lui collegata dall’elenco dei risultati di una ricerca effettuata online che utilizzi il suo nome come parola chiave.

Rilevano i diritti fondamentali del rispetto della vita privata e della vita familiare (art. 7 Carta di Nizza) ed alla protezione dei dati di carattere personale (art. 8 Carta di Nizza) che, in linea di principio, prevalgono sia sull’interesse economico del motore di ricerca, sia sull’interesse del grande pubblico ad accedere all’informazione di cui si tratta. L’eccezione è rappresentata dalle ipotesi in cui vi sia un interesse preponderante del pubblico all’accesso alla notizia in considerazione del ruolo ricoperto nella vita pubblica dalla persona cui l’informazione si riferisce.

La Cassazione ha più volte affermato che “se è pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell’articolo dal motore di ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai suoi dati personali, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa lederne il diritto a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate” (Cfr. Cass. n. 2893/2023; Cass. n. 15160/2021).

Il diritto all’oblio di ogni persona deve essere bilanciato con il diritto della collettività all’informazione, alla conoscenza del fatto che è espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-culturale e documentaristica. In tali casi il diritto all’oblio può essere tutelato anche con la sola deindicizzazione dell’articolo dai motori di ricerca (cfr. Cass. n. 9147/2020). La deindicizzazione consiste nella rimozione di una pagina già memorizzata negli archivi del motore di ricerca. Quando un contenuto viene rimosso delle pagine dei risultati delle ricerche lo stesso rimane accessibile solo da chi conosce l’indirizzo della pagina web che lo contiene.

Spesso, infatti, la richiesta è proprio quella di deindicizzare alcuni risultati connessi al proprio nome e concernenti articoli (legittimamente) pubblicati nell’esercizio del diritto di cronaca giornalistica in ragione dell’interesse pubblico che, al momento della pubblicazione, circondava alcune vicende che avevano interessato quella determinata persona. Si tratta, in altre parole, del diritto di un soggetto “una volta cessato il clamore e l’interesse pubblico per il decorso del tempo, a non vedersi consegnata al ricordo collettivo in quei termini”: rischio amplificato dai motori di ricerca.

Il pregiudizio alla persona cui la notizia si riferisce non è la semplice permanenza della notizia nella rete, ma il fatto che tutti gli utenti del web possano accedere in modo generalizzato ed indistinto alla stessa, semplicemente digitando sulla query del motore di ricerca il nome dell’interessato per effetto della sua indicizzazione (operazione con cui il gestore di un motore di ricerca include nel proprio data base i contenuti di un sito web che viene in tal modo acquisto e tradotto all’interno del primo).

La deindicizzazione operata a partire dal nome dell’interessato sui motori di ricerca generali (o in quelli predisposti dall’editore) in molte fattispecie rappresenta il punto di effettivo equilibrio tra gli interessi in gioco: salva, da un lato, l’interesse pubblico alla conoscenza del fatto, perché l’informazione non viene cancellata dalla rete e può essere raggiunta dagli utenti accedendo al sito che la contiene (c.d. sito sorgente) o con altre metodologie di ricerca (ad es: uso di parole chiave diverse) e dall’altro tutela il diritto della persona a non essere trovata facilmente sulla rete (right not to be found easy).

La pronuncia in commento ritiene, quindi, che “la tutela dell’oblio dell’interessato in relazione ad articoli che lo riguardano e pubblicati, a suo tempo, legittimamente, nell’esercizio del diritto di cronaca e/o di critica e/o di satira, da una testata online, deve essere bilanciata con il diritto della collettività all’informazione e, ove non recessiva rispetto a quest’ultimo, è adeguatamente assicurata, innanzitutto, dalla deindicizzazione degli indirizzi URL relativi a tali articoli, quale rimedio atto ad evitare che il nome della persona sia associato dal motore di ricerca ai fatti di cui internet continua a conservare memoria, così assecondando il diritto della persona medesima a non essere trovata facilmente sulla rete”.

Rigetta, quindi, il ricorso perché, come emerso in primo grado, il ricorrente aveva ricoperto ruoli di dirigente in più aziende leader nel settore delle telecomunicazioni e, al momento della decisione di primo grado, era ancora presidente e membro del CDA di due importanti società. Le informazioni del link oggetto di causa erano relative ai suoi studi universitari ed alla sua carriera professionale: notizie per le quali è stato ritenuto persistere un interesse della collettività, nonostante il tempo trascorso.

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