Violazione degli obblighi di assistenza familiare ai tempi del Coronavirus

09 APRILE 2020 | Numero Speciale COVID-19

La perdurante emergenza sanitaria ha impattato pesantemente anche sul nostro sistema economico e, mentre si moltiplicano le previsioni e le proiezioni, spesso discordanti, sulle conseguenze globali e nazionali della pandemia, ognuno deve fare i conti con la propria realtà professionale.

È noto come col d.P.C.M. 8 marzo 2020 e successivi provvedimenti di analoga matrice sia stata disposta la sospensione di una platea, via via sempre più ampia, di attività (bar, parrucchieri, palestre, ristoranti … e da ultimo tutte le attività produttive industriali e commerciali, salvo le eccezioni espressamente dettagliate).

Ebbene, ove il titolare di tali attività si ritrovi azzerati i propri redditi, in conseguenza della chiusura impostagli, potrà legittimamente sospendere la corresponsione dell’assegno di mantenimento per coniuge, ex coniuge e/o figli, invocando la scriminante della forza maggiore e/o comunque il difetto dell’elemento psicologico?

La fattispecie in esame presenta evidenti profili di affinità con lo stato di disoccupazione dell’obbligato, oggetto di innumerevoli pronunce dei giudici di merito e di legittimità.

A tali arresti giurisprudenziali appare opportuno attingere per cercare di enucleare un canone interpretativo che si attagli al caso concreto. 

Lo stato di involontaria disoccupazione non rappresenta di per sé una scriminante.

È in ogni caso onere dell’obbligato fornire la prova o quanto meno l’allegazione degli elementi dai quali possa desumersi la sua impossibilità ad adempiere all’obbligazione, non è, tuttavia, sufficiente la dimostrazione di una flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà (Cass. pen. n. 32540/2005; Cass. pen. n. 39422/2017; Cass. pen. n. 53173/2018).

Al pari, la generica indicazione di uno stato di disoccupazione non vale ad assolvere il rigoroso onere probatorio al quale è tenuto l’obbligato, non potendosi escludere in radice altre possibili fonti reddituali (Cass. pen. n. 10147/2013).

Ed invero, l’incapacità economica dell’obbligato viene intesa come impossibilità assoluta di far fronte agli obblighi contributivi e deve integrare una situazione di persistente ed incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. pen. n. 33997/2015; Cass. pen. n. 16138/2019).

L’approfondimento istruttorio sarà di particolare importanza anche per individuare/escludere eventuali entrate “non ufficiali” dell’obbligato o per la ricostruzione della sua esatta consistenza patrimoniale, atteso che, ai fini dell’accertamento dello stato di indigenza, andranno considerati non solo i redditi da lavoro, ma anche i risparmi accumulati, la proprietà di beni mobili ed immobili ed ogni altro elemento potenzialmente produttivo di reddito. 

Vale la pena di segnalare come la Suprema Corte abbia ritenuto corrette le argomentazioni dei giudici di merito che avevano escluso la rilevanza dello stato di disoccupazione dell’obbligato, ritenendo plausibile che fosse titolare di altri redditi non ufficiali, in quanto “non aveva spiegato attraverso quali mezzi avesse potuto provvedere al proprio sostentamento” (Cass. pen. n. 38690/2020).

Alla luce dei citati orientamenti giurisprudenziali, l’obbligato che ometta di versare i contributi di cui è gravato, deve ben prefigurarsi il pesante onere probatorio al quale sarà chiamato, salve, ovviamente, diverse, sopravvenute, statuizioni in sede civile.

 

Mara Zanotto, Avvocato in Treviso 

Ok
Questo website usa solamente cookies tecnici per il suo funzionamento. Maggiori dettagli