Per la Cassazione il padre assente deve risarcire i danni alla figlia

IL CASO. Tizia aveva agito in giudizio nei confronti del padre Caio per ottenere “il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dalla assunta violazione, da parte di quest’ultimo, dei suoi obblighi di genitore (in particolare, di quello di mantenere, istruire ed educare la figlia)”.
Il Tribunale di Messina aveva accolto la sua domanda, liquidandole l’importo risarcitorio di euro 66.759,00 con provvedimento che veniva confermato in appello.
Avverso tale decisione Caio aveva proposto ricorso per cassazione, in base a tre motivi.
Col primo aveva lamentato l’“omesso esame” della “condotta della madre dell’attrice, che avrebbe omesso di prendere atto delle problematiche comportamentali della figlia e porvi rimedio (quanto meno sollecitando l’intervento di esso ricorrente, che si definisce genitore “assente”)” e della “circostanza che l’attrice non avrebbe dimostrato di aver manifestato la volontà di proseguire gli studi universitari e di aver fatto inutilmente richiesta al padre del necessario supporto economico”.
Col secondo motivo aveva denunciato la “violazione o falsa applicazione di norme di diritto” e col terzo la “liquidazione del danno biologico e del danno morale”.

LA DECISIONE. Con l’ordinanza n. 14382 del 2019 la Corte di Cassazione ha ritenuto “infondato” il primo motivo.
Quanto all’“omesso esame” della “condotta della madre dell’attrice”, l’ha ritenuta una “circostanza di fatto che non può in alcun modo ritenersi decisiva per l’esito della controversia”.
Ciò perché

la responsabilità del genitore per i danni subiti dal figlio, in conseguenza del suo inadempimento ai propri obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza, non può ritenersi esclusa o limitata dalla circostanza che anche l’altro genitore possa non avere correttamente adempiuto ai rispettivi doveri”.

Infatti, per la Corte “la responsabilità e gli obblighi derivanti dal rapporto di filiazione (tra cui quello di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli) gravano su entrambi i genitori, non certo solo su quello convivente e, tanto meno, addirittura, solo su quello più attivamente “presente”, come sembrerebbe ritenere il ricorrente; di essi ciascun genitore risponde quindi integralmente (né d’altra parte risulta nella specie proposta una azione di rivalsa o regresso nei confronti dell’altro genitore -che non è neanche parte del giudizio – per la eventuale sussistenza di una responsabilità concorrente nell’ambito di una eventuale pretesa obbligazione solidale)”.
Ed un tanto in piena conformità all’orientamento giurisprudenziale di legittimità in base al quale “anche nell’ipotesi in cui al momento della nascita il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori (Cass. 22.11.2013 n. 26205; Cass. 10.4.2012 n. 5652; Cass., 2.2.2006, n. 2328; Cass. 14.5.2003 n. 7386) (Cass., Sez. 6 – 3, Sentenza n. 3079 del 16/02/2015, Rv. 634387 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 5652 del 10/04/2012, Rv. 622138 – 01)”.
Con la conseguenza che “se gli obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza gravano addirittura sul genitore naturale che non abbia riconosciuto il figlio, a maggior ragione essi graveranno su quello che sia rimasto semplicemente “assente”, cioè di fatto si sia sottratto all’adempimento dei suddetti obblighi senza alcuna ragione; quest’ultimo risponderà quindi integralmente delle conseguenze del suo inadempimento
”.
La Corte ha, poi, ritenuto “altrettanto infondata … la censura di omesso esame di un fatto decisivo, in relazione alla circostanza che l’attrice non avrebbe dimostrato di aver manifestato la volontà di proseguire gli studi universitari e di aver fatto inutilmente richiesta al padre del necessario supporto economico”, trattandosi di “una censura che non coglie adeguatamente la effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata, sul punto”.
Ciò perché “i giudici di merito non hanno infatti imputato [a Caio] di avere negato alla figlia il sostegno economico da questa richiesto al fine di proseguire gli studi universitari ma, in linea più generale, di non avere correttamente adempiuto ai propri obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione della stessa, il che ha determinato difficoltà di vario genere nella serenità personale della ragazza e, complessivamente, nello sviluppo della sua personalità, tra le cui ulteriori conseguenze vi è stato anche quello della sua scelta di una anticipata interruzione degli studi”.
Con riferimento, poi, al secondo ed al terzo motivo, “entrambi relativi alla liquidazione dei danni conseguenti all’inadempimento del ricorrente”, la Cassazione li ha ritenuti “connessi” e li ha, quindi “esaminati congiuntamente”.
Nel farlo, ha concluso per la loro “inammissibili[tà]”, “prima che infondat[ezza]”, perché “nel ricorso non viene chiarito in modo specifico, con il puntuale richiamo del contenuto della sentenza di primo grado, come sia stata operata in concreto la liquidazione del danno complessivo (patrimoniale e non patrimoniale) da parte del tribunale”, “sussistendo [quindi] un difetto di specificità del ricorso e un difetto di esposizione dei fatti di causa, che, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3 e 6, c.p.c, determinano di per sé la radicale inammissibilità delle relative censure”.
La Corte di Cassazione, “a scopo di completezza espositiva”, ha comunque ritenuto “opportuno osservare che, con riguardo al danno patrimoniale (oggetto del secondo motivo), … la liquidazione dei pregiudizi “da perdita di chance” non può che avvenire attraverso il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c.”.
Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva “accertato che il convenuto non [aveva] adempiuto al proprio obbligo di mantenere, istruire ed educare la figlia, che il suddetto inadempimento [aveva] causato un complessivo disagio materiale e morale per quest’ultima e che da tale disagio [erano] derivate una serie di ulteriori conseguenze pregiudizievoli, di carattere patrimoniale oltre che non patrimoniale, tra cui la scelta dell’attrice di interrompere anzitempo gli studi, che le [aveva] certamente precluso delle possibilità di realizzazione professionale, con rilievo anche economico”, con la conseguenza che “in tale situazione, sussistendo la prova del danno (anche patrimoniale) e mancando la ragionevole possibilità di dimostrare la sua precisa entità, risulta[va] certamente consentita la liquidazione di esso in via equitativa”.
Anche con riferimento alla “censura relativa alla liquidazione del danno non patrimoniale (terzo motivo)”, la Corte ne ha rilevato il difetto della “necessaria specificità”.
Per tali motivi, la Suprema Corte ha, pertanto, rigettato il ricorso.

 

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