Accertamento della maternita’ e diritto della madre all’anonimato: come conciliare i due diritti

Con la sentenza n. 19824/2020 la Corte di Cassazione ha affrontato la delicata questione del bilanciamento fra il diritto della madre a mantenere l’anonimato, espresso al momento del parto, ed il diritto del figlio all’accertamento dello “status filiationis”, stabilendo il principio che dopo la morte della madre, vengono meno le ragioni di tutela dei diritti alla vita e alla salute, posti a fondamento del diritto all’anonimato, consentendo quindi la proposizione dell’azione di accertamento dello status di figlio naturale  ex art.269 c.c. nei confronti degli eredi. 
IL CASO: la Corte d’appello aveva confermato la sentenza del giudice di primo grado che, dopo la morte della madre rimasta anonima, aveva accertato il rapporto di filiazione del figlio naturale in base alle prove raccolte (una consulenza immunogenetica, la deposizione di alcuni testi non legati da vincoli di parentela o affinità e, infine, il verbale di un testamento olografo).
La figlia legittima si era opposta al riconoscimento giudiziale di maternità richiesto dal figlio naturale, sostenendo che il diritto all’anonimato della madre, mai revocato in vita, prevaleva sul diritto del figlio naturale a conoscere le generalità della madre, anche oltre la durata della sua vita. 
La figlia legittima proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
LA DECISIONE: la Suprema Corte, dopo una dettagliata elencazione delle molte norme che tutelano nel modo più ampio il diritto della madre a mantenere l’anonimato, ha osservato preliminarmente che il “diritto della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto è un diritto fondamentale che trova il suo fondamento costituzionale nell’esigenza di salvaguardare madre e neonato da qualsiasi perturbamento, connesso alla più eterogenea gamma di situazioni, personali, ambientali, culturali, sociali, tali da generare l’emergenza di pericoli per la salute psicofisica o la stessa incolumità di entrambi e da creare, al tempo stesso, le premesse perché la nascita possa venire nelle condizioni migliori possibili”.
La Corte evidenzia peraltro la necessità di conciliare la riservatezza sulla identità della madre con il diritto del figlio a conoscere le proprie origini, diritto che “attiene al nucleo dei diritti inviolabili della persona”, al quale il legislatore “ha inteso assicurare una piena tutela riconoscendo l’interesse all’accertamento dello status di filiazione corrispondente alla verità biologica, in quanto componente essenziale del diritto all’identità personale, in ogni momento della vita di una persona e quindi anche in età adulta”.
Tuttavia, nel bilanciamento tra i due diritti, di rango costituzionale, “quello della madre a mantenere l’anonimato al momento del parto si pone comunque in posizione preminente” in quanto finalizzato a tutelare la vita e la salute dalla madre e del figlio.
Per questo motivo, il diritto del figlio alla propria identità personale rimane compresso per tutta la durata della vita della madre, salvo che

la madre, con inequivocabile condotta, abbia manifestato la volontà di revocare nei fatti la scelta di rinunciare alla genitorialità".  Al dì fuori quindi del caso di revoca da parte della madre, “la tutela del diritto all’anonimato, per tutta la durata della vita della stessa, deve essere massima”.

Diversamente, dopo la morte della madre, il diritto del figlio all’accertamento dello status di filiazione prevale sul diritto all’anonimato della madre, in quanto

per il periodo successivo alla morte della madre, l’esigenza di tutela del diritto degli eredi e discendenti della donna che ha optato per l’anonimato non può che essere recessiva rispetto a quella del figlio che rivendica il proprio status”.

La Corte conclude affermando quindi il principio per cui: “Venendo meno per effetto della morte della madre, l’esigenza di tutela dei diritti alla vita e alla salute, che era stato fondamentale nella scelta dell’anonimato, non vi sono più elementi ostativi non soltanto per la conoscenza del rapporto di filiazione (come affermato da Cass.15024/2016 e Cass.22838/2016) ma anche per la proposizione dell’azione volta all’accertamento dello status di figlio naturale, ex art. 269 c.c.”.

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