L’addebito della separazione e l’etica del rispetto

Con sentenza n. 20374, depositata in data 1 agosto 2018, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in materia di addebito della separazione coniugale.
In particolare, la ricorrente impugnava la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che, in parziale riforma della decisione di primo grado, le addebitava la separazione a causa del suo grave comportamento; la signora, infatti, aveva accusato il marito, sapendolo innocente, di abusi sessuali nei confronti della figlia.
Pur avendo i coniugi, dopo tale fatto, tentato una riconciliazione, la separazione divenne inevitabile poiché “la denuncia sporta dolosamente dalla … omissis… ha costituito un vulnus non sanabile nella relazione matrimoniale come ha dimostrato la successiva crisi che ha portato alla rottura definitiva del rapporto … e una perturbazione della relazione del …omissis… con i figli”.
Con articolata motivazione, il Giudice del gravame aveva riconosciuto efficacia causale alla denuncia della moglie sulla rottura del legame matrimoniale.
Sul punto la Suprema Corte ha rigettato il ricorso della signora, confermando l’addebito alla stessa della separazione coniugale dichiarato dalla Corte d’Appello di Bologna.
La sentenza in esame può segnare una novità importante nell’interpretazione dei doveri nascenti dal matrimonio di cui si occupa l’art. 143 c.c.
In passato, infatti, la dichiarazione di addebito è sempre stata la conseguenza, la sanzione, della violazione dei più tradizionali doveri nascenti dal matrimonio, ovvero l’obbligo di fedeltà, di coabitazione (salvo diverso accordo dei coniugi, ad esempio per esigenze di lavoro), di reciproca cura materiale e spirituale e di contribuzione alle esigenze della famiglia, sempre che tale violazione fosse stata tale da determinare la rottura del vincolo.

Con questa decisione, la Corte di Cassazione sembra voler dare spazio ad un’idea al tempo stesso più alta e più piena dei doveri matrimoniali ancorando l’addebito alla violazione del rispetto dovuto tra coniugi, inteso come rispetto della dignità della persona e del ruolo che essa ricopre all’interno della relazione coniugale.

All’esito di un lungo e tormentato percorso del pensiero giurisprudenziale su questo tema particolarmente delicato, la Suprema Corte, dunque, amplia l’ambito di applicazione dell’istituto dell’addebito in un momento storico in cui il legislatore, al contrario, sembra intenzionato ad abolirlo (cfr. ddl Pillon).
Molti, infatti, si chiedono se sia ancora opportuno, anche ai fini di deflazionare il contenzioso civile, mantenere in vita l’istituto dell’addebito che, per diversi aspetti, ricorda la «vecchia» separazione per colpa abbandonata dal legislatore del 1975, e per alcuni rappresenta un’indebita intromissione nella sfera della formazione sociale nel cui ambito si sviluppa la personalità dei coniugi, riportando alla memoria le parole di Arturo Carlo Jemolo, per cui “la famiglia è un’isola che il mare del diritto può solo lambire”.

 

 

 

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