Quando le attribuzioni patrimoniali dell’ex convivente costituiscono indebito arricchimento?

Con la recente sentenza n.2392/2020 la Cassazione civile, uniformandosi ad un consolidato orientamento, torna a pronunciarsi sulla dibattuta questione della ripetibilità delle dazioni in denaro effettuate durante la convivenza, ribadendo che qualora le somme elargite da un convivente a favore dell’altro vadano oltre i limiti di proporzionalità e di adeguatezza riferiti alla singola relazione, non possono ritenersi mero adempimento di un dovere morale e sociale insito nel rapporto di convivenza e come tali irripetibili ai sensi dell’art.2034 c.c., ma configurano un indebito arricchimento con la conseguente possibilità di esperire il relativo rimedio giudiziale.

Il Tribunale di Torino aveva parzialmente accolto la domanda proposta dall’ex convivente nei confronti dell’altro per la condanna alla corresponsione di una ingente somma di denaro, con riferimento a due operazioni di acquisto, ristrutturazione e rivendita di alcuni immobili, realizzate dalla coppia nel corso di una convivenza ventennale.
Il Tribunale, nel rigettare la domanda proposta ai sensi dell’art.2549 c.c., ritenuto inoltre che non fossero applicabili nemmeno le norme in tema di obbligazioni naturali, aveva qualificato la domanda come azione di arricchimento senza causa ai sensi dell’art. 2041 c.c., accogliendola (per l’importo di € 460.000,00 oltre interessi legali e rivalutazione).
In seguito alla decisione di inammissibilità adottata dalla Corte d’appello territoriale, l’ex convivente condannata al pagamento aveva proposto ricorso per la cassazione della sentenza.  
La Corte di cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, chiarisce in primo luogo che non risultava configurabile nella lunga e complessa vicenda economica intercorsa fra gli ex conviventi un’associazione in partecipazione ai sensi dell’art.2549 c.c. e quindi sussisteva il requisito di sussidiarietà di cui all'art.2042 c.c. richiesto per la proponibilità dell’azione generale di indebito arricchimento.
In secondo luogo la Corte chiarisce che, in considerazione degli elevati importi, le operazioni effettuate non potevano ritenersi adempimento di un dovere morale e sociale tale da rientrare nella previsione di irripetibilità di cui all’art.2034 c.c., in quanto “esorbitanti dalle esigenze familiari e che non rispettano i minimi di proporzionalità ed adeguatezza” di cui all’art.2034 c.c..
La Corte riprende, quindi, l’orientamento noto (Cass. n. 3713/2003), secondo il quale
 
“un’attribuzione patrimoniale a favore del convivente “more uxorio” configura l’adempimento di un’obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens”.
 
Gli ermellini concludono affermando che:
 
“E’ pertanto possibile configurare l’ingiustizia dell’arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell’altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo esulanti dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza” (Cass.n.11330/2009).
 
 

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