Non può pronunciarsi la decadenza dalla responsabilità genitoriale nonostante le risultanze della CTU (favorevoli al genitore) e senza motivare adeguatamente in ordine all’interesse del minore

IL CASO. La Corte d’appello di Bologna, con decreto del 12.4.2018, confermava il provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale della madre di una bambina pronunciato dal Tribunale per i minorenni di Bologna sulla base delle risultanze della CTU e dell’accertato disturbo psicologico della madre. La bambina era stata anche allontanata dal nucleo familiare a seguito dell’apertura, nei confronti del padre, di un procedimento penale per presunta violenza sessuale sulla figlia.
Il decreto veniva impugnato per cassazione dalla madre ai sensi dell’art. 360 c.p.c. comma 1 n.5, stante la dichiarazione di decadenza dalla responsabilità in assenza dei presupposti di legge e l’omessa valutazione delle risultanze della CTU, che aveva comunque espresso un giudizio favorevole circa le capacità genitoriali della madre.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, I Sezione Civile, con ordinanza n.9763/2019, ha accolto il ricorso, cassando il provvedimento impugnato e rinviando alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione “per una più adeguata analisi delle risultanza della CTU in ordine alla capacità genitoriale della ricorrente”.
Anzitutto, ribadendo un concetto già espresso in precedenza (Cass. n. 14436/2017), la Cassazione ha affermato che

“il giudice di merito nel pronunciarsi in ordine alla decadenza dalla responsabilità genitoriale deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali”.

Nel caso di cui ci si occupa, invece, la Suprema Corte ha evidenziato come nessuna motivazione fosse stata data dalla Corte d’appello di Bologna in ordine alle ritenute inidoneità ed inadeguatezza della madre che avevano portato alla pronuncia ablativa in totale spregio delle conclusioni della CTU.
Invero, di tale consulenza la Corte territoriale aveva valorizzato unicamente il passaggio in cui si dava atto dell’impossibilità della madre di svolgere la funzione genitoriale a causa della propria patologia, senza tener conto dei passaggi in cui veniva evidenziato il suo legame affettivo con la figlia. La consulenza aveva infatti rilevato l’esistenza tra madre e bambina di “un sicuro legame che denota non solo un attaccamento affettivo ma anche capacità di accudimento che possono essere ulteriormente valorizzate attraverso un idoneo percorso” e aveva quindi concluso per la reintegrazione nella responsabilità genitoriale.
Per di più, da un lato, risultava superata la situazione che aveva determinato l’allontanamento della minore dalla famiglia (in quanto il padre era stato assolto con formula piena dall’accusa di violenza sessuale) e, dall’altro, il disturbo depressivo della madre non poteva da solo essere considerato sufficiente ad escludere le capacità genitoriali in quanto compensato attraverso adeguata cura farmacologica.
Secondo la Suprema Corte, pertanto,

“il giudice territoriale nel discostarsi dalle risultanze della CTU avrebbe dovuto spiegare e le ragioni ed i motivi nell’interesse della minore”,

poiché “il mancato esame delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio – in quanto, come nella specie, veicola nel processo un fatto idoneo a determinare una decisione di segno diverso – integra un vizio della sentenza che può essere fatto valere, nel giudizio di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.5, come omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

 

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