L’adozione del singolo secondo la Cassazione ovvero quando giurisprudenza fa rima con onnipotenza

La Prima Sezione della Cassazione civile, dopo aver ritenuto applicabile l’istituto dell’“adozione in casi particolari” prevista dall’art. 44 l. n. 184/1983 al partner di una coppia di fatto omoparentale (sentenza n. 12962/2016), consolida il proprio orientamento favorevole all’adozione semplice da parte del singolo nel caso di una “donna di sessantadue anni . singola” affidataria di un minore disabile di otto anni, affetto da “tetraparesi spastica”, i cui genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale.

Con l’ordinanza n. 17100/2019, invero, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dai genitori avverso la sentenza con la quale la Corte d’appello di Napoli aveva rigettato l’appello con il quale costoro si erano gravati contro la decisione del Tribunale dei minori di Napoli, che aveva rigettato la loro domanda di revoca del provvedimento decadenziale anzidetto e disposto l’adozione del minore nei suddetti termini.

Anche questa volta la Sezione fa leva sull’interpretazione della lettera d) del citato art. 44, secondo la quale per “constatata impossibilità di affidamento preadottivo” deve intendersi non già l’“impossibilità di fatto” dell’affidamento (derivante da una condizione di abbandono in senso tecnico-giuridico o di semi abbandono del minore), bensì quella “di diritto”, consistente cioè nell’insussistenza delle condizioni previste dalla legge per l’affidamento stesso.

L’ordinanza in parola, in sostanza, rinvia alle argomentazioni addotte dal citato precedente a sostegno della tesi propugnata, per concludere che

“l’accesso a tale forma di adozione è consentito alle persone singole ed alle coppie di fatto” allorché sussista, oltre alla precitata “impossibilità di diritto”, “l’interesse del minore al riconoscimento di una relazione affettiva già instaurata e consolidata con chi se ne prende stabilmente cura”.

Secondo questa impostazione, la disposizione di cui alla lettera d) dell’art. 44 sarebbe “una clausola di chiusura del sistema” adozionale, diretta a “consentire l’adozione tutte le volte in cui è necessario salvaguardare la continuità affettiva ed educativa della relazione fra adottante ed adottando (e non certo fra quest’ultimo ed i genitori naturali), come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura”.

Come abbiamo già scritto in questo Sito, la tesi non convince affatto.

Non solo essa si pone in contrasto col chiaro tenore letterale della disposizione e con una corretta lettura sistematica della normativa in tema di adozione, chiaramente orientata ad escludere l’adozione del singolo, ma risulta tale da vanificare la casistica prevista dal legislatore laddove ha delineato con estrema precisione le ipotesi di “adozione semplice” enucleate dal disposto delle precedenti lettere a), b) e c) dello stesso art. 44, dettando, fra l’altro, norme unanimemente ritenute di stretta interpretazione.

Il concetto stesso di “impossibilità di diritto”, peraltro, poiché evoca tutti i casi in cui l’adozione semplice non è consentita dalla legge, appare intimamente contraddittorio: se il legislatore realmente avesse inteso consentirla senza limiti, infatti, non si comprenderebbe per qual motivo abbia specificato alcuni degli innumerevoli casi in cui essa sarebbe ammissibile (e cioè quelli di cui alle lettere a), b) e c)).

Si ha, dunque, la sensazione che, in questo caso, la giurisprudenza abbia superato i limiti che le sono propri, e cioè quelli dell’interpretazione del diritto positivo, attribuendosi una valenza riformatrice degli istituti giuridici che di certo non le compete.

Tanto più tenuto conto che tali decisioni contraddicono un consolidato orientamento di segno diametralmente opposto, avallato, ad esempio, dalle celeberrime pronunce della Corte costituzionale (n. 183/1994) e della Corte di Cassazione (n. 7950/1995) sul cd. “caso Di Lazzaro”.

In questa situazione si pongono due interrogativi.

Anzitutto ci si chiede perché la Corte non si sia data cura di confutare gli argomenti addotti nei suoi numerosi precedenti di segno contrario in questa materia.

Secondariamente, preso atto del contrasto giurisprudenziale radicatosi per effetto delle più recenti decisioni in tema di adozione del singolo (sia esso partner o meno di una coppia di fatto) e tenuto conto degli interessi coinvolti, massime quelli dei minori adottandi, pare difficile negare che si tratti di una “questione di massima di particolare importanza”.

Ragion per cui è legittimo domandarsi per qual motivo essa non sia stata rimessa alle Sezioni Unite ex art. 374 c.p.c.?

 

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