Protezione internazionale: questioni di rito e di merito

Il caso riguarda un cittadino pakistano che, al suo arrivo in Italia nel 2015, si rivolge alla Commissione Territoriale di Bari per ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, di quella umanitaria.

Il riconoscimento viene negato sia dalla Commissione, sia dal Tribunale di Bari, successivamente adito, che decide sull’impugnazione del provvedimento amministrativo con rito sommario.

La decisione di prime cure viene appellata con atto di citazione notificato al Ministero dell’Interno nel termine previsto dall’art 702 quater cpc, ma depositato dopo la scadenza di detto termine.

La Corte d’appello di Bari esamina anzitutto la questione di ammissibilità dell’appello.

L’art 19 comma 9 d.lgs. 150/2011, come modificato dall’art 27 d.lgs 142/2015, prevede:

Entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della  decisione, con ordinanza che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui e' accordata la protezione sussidiaria. In caso di rigetto, la Corte d'appello decide sulla impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Entro lo stesso termine, la Corte di Cassazione decide sulla impugnazione del provvedimento di rigetto  pronunciato  dalla  Corte d'appello".

Tale norma, fino alla sentenza 08.11.2018 n 28575 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, era stata costantemente interpretata in sede giudiziale nel senso che l’appello in materia di protezione si dovesse proporre con citazione, “così come avviene per ogni altro procedimento di rito sommario”, ritenendo “atecnica” l’espressione normativa utilizzata, di per sé inidonea a giustificare la forma del ricorso, anche per il mancato riferimento all’appello proposto dalla parte pubblica.

Le Sezioni Unite mutano avviso, ritenendo che a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 142 del 2015 all’art. 19 del d.lgs. n. 142 del 2011, l’appello proposto ex art 702 quater cpc tanto avverso la decisione di rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale adottata dal Tribunale, quanto avverso quella di accoglimento deve essere introdotto con ricorso.

Secondo la Suprema Corte il riferimento al “deposito del ricorso” (cfr comma 9 art 19 novellato) implica la volontà del legislatore di innovare la forma dell’appello di cui all’art 702 quater cpc.

La Corte d’appello riconosce tuttavia che il principio di diritto enunciato assume gli estremi dell’overruling in materia processuale, con esigenza di tutela dell’affidamento delle parti, dato il carattere di “imprevedibilità” in relazione al consolidato pregresso orientamento.  

Ritiene quindi ammissibile l’appello, non ritenendo raggiunta la consapevolezza del nuovo orientamento, quantomeno alla data di pubblicazione della sentenza delle Sezioni Unite.

Dopo l’ascolto del cittadino pakistano e l’esame di documenti e dichiarazioni, conferma il rigetto della protezione internazionale (diritto di asilo) ma accoglie la domanda di protezione di carattere sussidiario.

Il sistema di protezione internazionale degli Stati dell’Unione Europea comprende, infatti, due distinte posizioni giuridiche: quella dei rifugiati, disciplinata dalla Convenzione di Ginevra, e quella delle persone ammissibili alla protezione sussidiaria, in quanto non oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se tornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno.

Sul punto la Corte ritiene non pertinente la motivazione del provvedimento di prime cure e procede, come detto, all’esame diretto dei fatti.

Nella materia de qua il giudice, infatti, è dotato di ampi poteri istruttori che consentono di acquisire, anche d’ufficio, le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine del richiedente (si veda d.lgs 251/2007).

L’onere probatorio della parte risulta in parte attenuato dalla disposizione dell’art 3 comma 5 d.lgs. 251/2007, per il quale i fatti allegati sono “considerati veritieri” se: (i) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; (ii) ha prodotto tutti i documenti in suo possesso e motivato la mancanza di altri elementi significativi; (iii) le dichiarazioni sono coerenti e plausibili e non contraddittorie con altre informazioni di cui si dispone; (iv) la domanda è stata presentata prima possibile, salvo giustificato motivo per ritardarla; (v) dai riscontri effettuati, il richiedente è, in generale, attendibile.

Il giudice d’appello ritiene, quindi, raggiunta la prova della sussistenza delle condizioni per la protezione umanitaria, considerando rilevanti anche le minacce provenienti da soggetti privati (nella fattispecie si trattava di un privato dotato di notevole potere politico), poichè le autorità del Paese di provenienza non erano in grado di fornire adeguata protezione.

Secondo l’art 14 lett c d.lgs. 251/07 è infatti considerata “danno grave” la minaccia individuale alla vita o alla persona di un civile, derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

In riforma della decisione del Tribunale, la Corte d’appello ha perciò riconosciuto al cittadino Pakistano il diritto al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

 

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