Il coniuge cui viene revocata l’assegnazione della casa coniugale ha diritto ad un aumento dell’assegno di mantenimento

di Avv. Valentina Alberioli

IL CASO. Nel 2014 veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra Tizio e Caia nel 1998, dal quale erano nati Mevio e Sempronio.

Nel 2019 Tizio instaurava innanzi al Tribunale di Brescia un procedimento per la modifica delle condizioni del divorzio, chiedendo la revoca dell’assegnazione della casa coniugale di sua proprietà a Caia, in quanto entrambi i figli maggiorenni non convivevano più con la madre.

Nel costituirsi in giudizio, la resistente si rendeva disponibile a rilasciare la casa coniugale, ma, tra l’altro, chiedeva in via riconvenzionale un aumento dell’assegno divorzile da euro 800,00 ad euro 1.500,00 mensili.

In udienza le parti concordavano il termine ultimo per il rilascio della casa coniugale, ma non riuscivano ad accordarsi sulle altre questioni.

Con decreto del 26.11.2020, il Tribunale di Brescia, in accoglimento del ricorso presentato da Tizio, revocava l’assegnazione della casa familiare, rigettando la domanda di Caia di aumento dell’assegno divorzile.

Quest’ultima proponeva reclamo avverso tale provvedimento, lamentando, tra l’altro, il rigetto della sua domanda di aumento dell’assegno divorzile in conseguenza della revoca dell’assegnazione della casa coniugale.  

La Corte d’Appello, in accoglimento del reclamo di Caia e a modifica delle condizioni di cui alla sentenza di divorzio, tra l’altro, elevava l’importo dell’assegno divorzile ad euro 1.200,00, condannando Tizio al rimborso delle spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.

Avverso tale provvedimento Tizio proponeva ricorso per cassazione, in base a quattro motivi.

In particolare, con il primo motivo denunciava, ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 9 della Legge n. 898 del 1970, per avere, il giudice di secondo grado, riconosciuto l’aumento dell’assegno divorzile senza che il richiedente avesse assolto all’onere di fornire la prova del peggioramento della propria situazione economica, e per avere riconosciuto rilevanza, nell’ambito del procedimento di revisione delle condizioni di divorzio, a fatti il cui apprezzamento era già avvenuto nel procedimento di divorzio ai fini della determinazione della spettanza dell’assegno”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7961 del 2024, ha ritenuto infondato il primo motivo, alla luce del principio in base al quale

la revoca dell’assegnazione dell’abitazione familiare costituisce una sopravvenienza sfavorevole per l’ex coniuge che ne sia stato assegnatario, la quale è suscettibile di essere valutata, ai fini della verifica dei presupposti per la revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell’art. 9, comma 1, L. n. 898 del 1970, tanto più quando si accompagna all’acquisto della disponibilità materiale della stessa da parte dell’altro ex coniuge che ne sia proprietario esclusivo”.

È vero, infatti, che l’assegnazione della casa familiare viene disposta per garantire ai figli minorenni o maggiorenni economicamente non autosufficienti la conservazione del loro habitat familiare, ma lo è altrettanto il fatto che, a prescindere da tale funzione, detta assegnazione ha, indubbiamente, dei riflessi economici, dei quali il giudice deve tenere conto ai fini della determinazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli, perché consente al genitore assegnatario di evitare la ricerca di una diversa abitazione che invece deve essere reperita dall’altro genitore (cfr., ex plurimis, Cass. n. 27599/2022; Cass. n. 20858/2021; Cass. n. 25420/2015; Cass. n. 4203/2006, ove è precisato che il godimento della casa familiare costituisce un valore economico che di regola corrisponde al canone ricavabile dalla locazione dell’immobile).

Al contempo, la revoca dell’assegnazione della casa familiare costituisce una modifica peggiorativa delle condizioni economiche del genitore che ne fruisce insieme ai figli e una sopravvenienza migliorativa per l’altro che ne sia il proprietario esclusivo, il quale, ad esempio, può andarvi ad abitare o concedere il bene in locazione a terzi o comunque impiegarlo in attività produttive, compiendo, in sintesi, attività suscettibili di valutazione economica che durante l’assegnazione all’altro genitore non erano consentite.

Alla luce di tali principi, la Corte di Cassazione ha, pertanto, ritenuto che, nel caso di specie, il giudice di merito avesse correttamente aumentato l’assegno di divorzio in favore di Caia, valorizzando a tal fine la circostanza in base alla quale alla perdita del vantaggio derivante dall’assegnazione della casa familiare si era affiancato il vantaggio dell’acquisto della disponibilità del bene da parte dell’ex coniuge proprietario esclusivo. 

Ha, quindi, rigettato il ricorso proposto da Tizio, condannandolo alla rifusione delle spese di lite sostenute da Caia.

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