Il discrimine tra l’assegnazione della casa familiare e la costituzione di un diritto reale di abitazione

di Avv. Rebecca Gelli

È comune opinione in dottrina, fatta propria anche dalla prevalente giurisprudenza, che l’accordo di separazione sia un  “atto plurimo”, ove confluiscono un contenuto “necessario” ed uno “eventuale” (Falzea, La separazione personale, Milano, 1943).

Per contenuto necessario, s’intende tutto ciò che deve essere necessariamente previsto nell’accordo di separazione, verbalizzato e sottoposto all’omologazione del giudice. Da tale contenuto deve tenersi logicamente distinto l’insieme delle condizioni che possono eventualmente entrare far parte dell’accordo di separazione, in quanto volute dai coniugi in vista della loro composizione concordata.

Secondo l’orientamento maggioritario, nel minimum dell’accordo di separazione, rientrano l’intesa tra i coniugi di vivere separati e le pattuizioni in ordine all’affidamento e al mantenimento, cui possono eventualmente aggiungersi gli accordi traslativi o costitutivi di diritti reali, talora inseriti nell'accordo di divorzio a domanda congiunta o di separazione consensuale, al fine di regolamentare il nuovo assetto della famiglia divisa.

Tali trasferimenti non solo sono perfettamente validi (Cass. civ., S.U., n. 21761/2021), ma restano sottratti alla clausola rebus sic stantibus che permea il contenuto necessario e/o tipico della separazione, essendo sottoposti alle norme di diritto comune sui contratti e, per l’effetto, al principio generale per cui pacta sunt servanda (Cass. civ., n. 5061/2021).

La differenza tra contenuto necessario ed eventuale dell’accordo giusfamiliare segna, dunque, il discrimine tra intese modificabili in qualsiasi momento, ai sensi dell’art. 710 c.p.c., oggi art. 473 bis 29 c.p.c., e patti aventi forza di legge tra le parti, ai sensi dell’art. 1372 c.c., e pertanto suscettibili di essere sciolti solo per mutuo dissenso o altre legittime cause di risoluzione, previste dal diritto comune.

Nel caso di specie, la controversia concerne l’interpretazione della clausola della separazione consensuale omologata, con cui si prevedeva che la casa coniugale, di proprietà di entrambi i coniugi, fosse abitata dalla moglie e dal figlio maggiorenne ed economicamente autosufficiente.

In sede di giudizio divorzile, il Tribunale e la Corte di appello, avendo accertato l'assenza di prole verso cui esercitare tutela, avevano revocato l'accordo, su istanza del marito, ritenendo che si trattasse di assegnazione della casa coniugale, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c.

La Cassazione ha accolto, invece, il ricorso della moglie, statuendo che la clausola non poteva essere revocata, nella misura in cui le espressioni e le circostanze di fatto lasciassero deporre, in maniera chiara e inequivocabile, per la costituzione di un diritto reale di abitazione, ai sensi dell’art. 1022 c.c.

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