Quadro riassuntivo delle misure penali adottabili dalle autorità giurisdizionali verso i minori

di Mara Zanotto avvocato in Treviso

Brevi cenni sul processo minorile
Il processo minorile è regolato dal d.P.R. n. 448/88, entrato in vigore in concomitanza con la riforma del codice di procedura penale (d.P.R. n. 447/88), le cui disposizioni trovano applicazione anche per gli indagati/imputati minorenni solo in via residuale, in difetto di espressa statuizione.
Il legislatore, su impulso delle fonti internazionali e della giurisprudenza costituzionale, ha così inteso costruire una giustizia penale a misura del minore. 
Il canone al quale s’informa il processo minorile è riassunto dall’art. 1 D.P.R. 448/88, a mente del quale “tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne”.
In realtà, il processo penale a carico di minorenni – come osservato da autorevole dottrina - continua ad essere caratterizzato “da una vocazione ancipite in precario equilibrio tra l’obiettivo funzionale dell’accertamento della responsabilità penale e una malintesa funzione rieducativa” (G.Giostra, il processo penale minorile, IV edizione).
Il rito minorile presenta significative peculiarità rispetto a quello ordinario, tra le principali: 
    i) inammissibilità dell’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno (art. 10);
    ii) esclusione di riti speciali, quali patteggiamento e decreto penale di condanna, in quanto incompatibili con la finalità rieducativa del processo minorile, mentre il PM non può procedere a giudizio direttissimo o richiedere il giudizio immediato “nei casi in cui ciò pregiudichi gravemente le esigenze rieducative del minore” (art. 25);
    iii) la giurisdizione è riservata ad una organo collegiale misto, interdisciplinare e diversificato nel genere, così anche il giudice per l’udienza preliminare.
Sull’imputabilità
Preliminarmente s’impongono sintetiche considerazioni sul concetto d’imputabilità.
Il Tribunale per i minorenni ha competenza giurisdizionale per i reati commessi da minori di anni 18, anche se successivamente divenuti maggiorenni.
L’art 97 c.p. sancisce la non imputabilità del minore infraquattordicenne, mentre nel caso di ultraquattordicenni l’assenza di maturità, intesa come mancanza di un adeguato sviluppo intellettuale e morale e conseguente incapacità di apprezzare il disvalore sociale del fatto reato, va valutata dal giudice caso per caso (art 98 c.p.)
In data 17 febbraio 2019 è stata presentata una proposta di legge per abbassare ad anni 12 la soglia d’imputabilità. La questione è assai controversa. È ben vero che oggi i ragazzi sono portatori di un bagaglio di conoscenza ed esperienza molto più vasto rispetto anche a pochi anni fa, ma altra cosa è stabilire se abbiano parallelamente acquisito adeguate capacità critiche al fine di esplicare una consapevole autodeterminazione. 
Sarebbe quantomeno auspicabile una maggiore armonizzazione sul punto tra i vari paesi europei, ma anche la recente direttiva UE n. 800/2016 sulle garanzie procedurali per minori ha trascurato questa tematica.
La non imputabilità minorile è stata tradotta dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel concetto d’immaturità. L’art. 97 introduce una presunzione di immaturità per gli infraquattordicenni, tuttavia, secondo la giurisprudenza maggioritaria, è illegittima la declaratoria de plano di non punibilità del minore infraquattordicenne a prescindere da ogni accertamento nel merito dei fatti contestati. Ed invero se, per un verso, tale soluzione interpretativa favorisce la rapida fuoriuscita dal circuito giudiziario del minore, in ossequio ai principi di “minima offensività”  e “ destigmatizzazione” del processo minorile, per converso determina un’inaccettabile compromissione del diritto di difesa e di una consapevole partecipazione del minore al processo (cfr da ultimo Cass. pen. n. 118/2020).
Va precisato, per inciso, che un proscioglimento per difetto d’imputabilità dell’infraquattordicenne non è privo di ricadute ad esempio ai fini dell’applicazione di una misura di sicurezza o anche semplicemente dell’annotazione della sentenza di proscioglimento sul certificato del casellario penale.
Misure precautelari e cautelari 
Il d.P.R. n. 448/88 detta un’autonoma disciplina per le misure precautelari e cautelari nei confronti del minorenne. 
Misure precautelari sono l’arresto, il fermo e l’accompagnamento, quest’ultima è misura specifica per i minorenni (non prevista dal rito ordinario), che può essere disposta in ipotesi di flagranza di delitto non colposo, punito con la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni e consiste nel condurre il minore presso gli Uffici della P.G. e trattenerlo il tempo necessario alla sua consegna all’esercente la responsabilità, all’affidatario ovvero ad un soggetto da lui incaricato. La misura non può avere una durata superiore alle dodici ore (art. 18 bis). 
Misure cautelari sono le prescrizioni, la permanenza in casa, il collocamento in comunità e la custodia cautelare.
Tali misure si caratterizzano per una afflittività crescente, nel senso che la successione topografica delle norme relative alle singole misure rispecchia la loro incidenza via via maggiore sulla libertà personale. Speculare è il cosiddetto effetto a cascata per cui, in caso di violazione delle misure imposte, il giudice minorile può sostituire la misura applicata con quella immediatamente più grave, non può invece adottare un meccanismo sanzionatorio per saltum, come consentito con il rito ordinario.
Le prescrizioni consistono nell’imposizione al minore di obblighi inerenti lo studio, il lavoro, ogni altra attività utile al suo percorso educativo. 
La permanenza in casa può essere integrata con altre prescrizioni come limitazione e/o divieto della facoltà del minore di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano, ma può essere attenuata per consentire al minore di allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora per frequentare la scuola o altro corso formativo.
Il collocamento in comunità consiste nel ricovero del minore in una struttura pubblica o autorizzata allo scopo di impedirgli la libera circolazione e garantirgli una vigilanza continuativa.
La custodia cautelare in carcere rappresenta l’extrema ratio e può essere adottata solo ove si proceda per reati puniti con la pena dell’ergastolo o con la reclusione non inferiore ad anni 9, salvo che consegua alla violazione del collocamento in comunità, nel qual caso è sufficiente che si proceda per un reato punito con la reclusione non inferiore ad anni 5. 
I criteri di scelta delle misure devono rispondere al principio di facoltatività (anche in presenza di reati più gravi è sempre il giudice a decidere se e quale misura adottare), adeguatezza e proporzionalità. 
Il procedimento minorile, come in parte anche quello avanti il giudice di pace, si connota per una maggiore vocazione sperimentale, tant’è che alcuni istituti adottati dal codice minorile sono stati successivamente recepiti nel rito ordinario con i pur necessari adeguamenti, tra questi la declaratoria di non procedibilità per irrilevanza del fatto e la sospensione del processo con messa alla prova.
Il processo minorile può essere definito con sentenza assolutoria nel merito o per difetto di condizione di procedibilità, con sentenza di non luogo a procedere per difetto d’imputabilità (art. 26) o con provvedimento di archiviazione. 
In ipotesi di accertata responsabilità del minore, può essere emessa sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, sospensione del processo con messa alla prova, sentenza di non luogo a procedere per concessione del perdono giudiziale, sentenza di condanna che può comportare, ove ne sussistano i presupposti, l’applicazione di sanzioni sostitutive.
La sentenza di n.l.p. per irrilevanza del fatto può essere emessa nel corso delle indagini preliminari, ma anche all’esito del dibattimento. 
I suoi presupposti applicativi sono la tenuità e occasionalità del fatto (c.d. reato bagatellare), ai quali si assomma una valutazione prognostica di pregiudizio per le esigenze educative del minore in ipotesi di prosecuzione del processo. 
La sentenza comporta un accertamento ontologicamente positivo sulla colpevolezza e sull’imputabilità dell’indagato/imputato, può essere emessa dal G.U.P. all’esito dell’udienza preliminare (solo con il consenso del minore), all’esito del giudizio abbreviato o del dibattimento.
La sospensione del processo e messa alla prova (art. 28) 
Il processo viene sospeso per un periodo, modulabile in ragione della gravità del reato, durante il quale il minorenne viene affidato ai servizi minorili, anche in collaborazione con i servizi locali, per attività di osservazione, trattamento e sostegno.
L’istituto rappresenta il dato normativo che, per eccellenza, apre – in modo esplicito – a forme di giustizia riparativa. Infatti, con l’ordinanza con cui dispone la sospensione del processo e la messa alla prova, il giudice “può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa del reato”.
La parantesi extra-processuale della messa alla prova minorile è dunque il luogo privilegiato per l’innesto della mediazione penale o di altre forme di giustizia riparativa, il cui esito positivo potrebbe poi portare alla dichiarazione di estinzione del reato per esito favorevole della prova. 
La messa alla prova, diversamente dal corrispondente istituto del rito ordinario, può essere concessa per tutte le figure di reato e presuppone necessariamente un giudizio prognostico positivo sulla rieducazione del minore. 
Decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una nuova udienza, nella quale viene valutato l’esito della messa alla prova, che in caso positivo, comporterà la declaratoria di estinzione del reato, mentre, in caso di esito negativo, il processo proseguirà il suo corso. 
Con recente decisione (n. 139/2020), la Corte costituzionale ha escluso profili di illegittimità dell’istituto di messa alla prova per i minorenni che, diversamente dal rito ordinario, può trovare applicazione solo a partire dall’udienza preliminare.
I giudici di legittimità hanno evidenziato la profonda differenza funzionale tra i due istituti: ispirato a finalità essenzialmente rieducativa quello per i minorenni, connotato da innegabili tratti sanzionatori l’altro. Quest’ultimo ha carattere negoziale, mentre il primo prescinde dal consenso del Pubblico Ministero.
Appare inoltre più conforme all’interesse del minore riservare ad un organo collegiale, interdisciplinare (anziché monocratico come il G.I.P.), l’applicazione dell’istituto, poiché l’apporto scientifico dei giudici onorari non può essere recuperato dal G.I.P. tramite l’audizione di esperti.
Il perdono giudiziale 
Il perdono giudiziale è previsto e disciplinato dall’art. 169 del codice penale. 
I suoi presupporti applicativi sono: 
    1. il positivo accertamento della sussistenza del reato e della colpevolezza ed imputabilità del minore; 
    2. la possibile applicazione di una pena detentiva non superiore nel massimo ad anni due, ovvero una pena pecuniaria (anche se congiunta) non superiore ad euro 1.549,37, da valutarsi in concreto;
    3. l’assenza di precedenti condanne a pena detentiva per delitto;
    4. una valutazione prognostica positiva (motivata) in ordine alla commissione di futuri reati; 
Valutazioni tutte che possono essere operate alla luce dei criteri di cui all’art. 133 c.p..
Il perdono giudiziale è concedibile una sola volta e viene iscritto nel casellario giudiziale. 
Il perdono giudiziale è certamente meno favorevole per il minore rispetto alla declaratoria di irrilevanza del fatto, mentre risulta per certi versi meno insidioso rispetto alla sospensione del processo con messa alla prova. Il perdono giudiziale consente, infatti, una rapida fuoriuscita dal processo del minore, mentre la messa alla prova implica tempi molto più lunghi e soprattutto l’alea del suo esito che, ove dovesse risultare non positivo, comporterebbe per il minore la prosecuzione del processo. 
Le sanzioni sostitutive
Con la sentenza di condanna, il giudice, quando ritiene di applicare una pena non superiore a due anni, può sostituirla con la sanzione della semidetenzione o della libertà controllata. L’art. 30, che disciplina le sanzioni sostitutive, non prevede espressamente la pena pecuniaria. Sulla sua applicabilità o meno ai minorenni si registra un contrasto tra giurisprudenza e dottrina. 
La pena carceraria
Dev’essere scontata presso un IPM, Istituto penale minorile, e rappresenta l’extrema ratio.
Il D.Lvo 2.10.2018 n. 121 contiene un’organica disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni e prevede il ricorso a misure penale di comunità quali: affidamento in prova al servizio sociale,  affidamento in prova con detenzione domiciliare, detenzione domiciliare, semilibertà e affidamento in prova in casi particolari. 
Sempre più intensamente si avverte l’esigenza di attualizzare la legislazione minorile per arginare comportamenti giovanili di allarmante gravità offrendo nel contempo un’adeguata rete di protezione nei confronti di minorenni che vivono situazioni di grave disagio socio-familiare, indirizzandoli su percorsi educativi e rieducativi orientati alla responsabilizzazione ed autonomizzazione. 

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