L’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non può, per ottenere il compenso promuovere autonomo giudizio contro il Ministero della Giustizia

L’avv. Tizio, assistette quale difensore di fiducia in un  procedimento per separazione consensuale, davanti al Tribunale di Ferrara la signora Caia, ammessa  prima del deposito del ricorso congiunto al del patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara. Nel gennaio 2016 si tenne  l’udienza di comparizione personale dei coniugi davanti al presidente designato e qualche giorno dopo venne pronunciato il decreto di omologa

Nell’agosto del 2017, l’avvocato Tizio  depositò istanza per la liquidazione del compenso spettantegli  quale difensore di Caia. Il Tribunale di Ferrara in composizione collegiale ha dichiarò tardiva e quindi  inammissibile l’istanza, poiché depositata in data successiva alla definizione del procedimento.

Il decreto del Tribunale di Ferrara non venne impugnato.

L’avvocato Tizio invece promosse nelle forme del procedimento sommario di cognizione artt. 702- bis e ss. c.p.c. una causa contro il Ministero della Giustizia per ottenere il pagamento del proprio compenso davanti al Tribunale di Bologna in applicazione dell’art.25 c.p.c., ( sul rilievo che il creditore è domiciliato a Ferrara, mentre a Bologna ha sede l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie).  

Illustrò le ragioni per cui riteneva che, contrariamente a quanto disposto dal Tribunale di Ferrara, l’art. 83, comma 3-bis, d.p.r. n. 115/2002  non consentisse di dichiarare alcuna decadenza a carico del difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato che avesse depositato l’istanza di liquidazione del compenso dopo la pronuncia del provvedimento che aveva chiuso la fase cui l’istanza si riferisce. Il tribunale di Bologna non esamina però la  correttezza dell’interpretazione accolta dal Tribunale di Ferrara, ma si sofferma sull’ammissibilità del ricorso così come proposto, atteso che a norma dell’art. 83, commi 1 e 2, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, la liquidazione del compenso spettante al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato «è effettuata al termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque, all'atto della cessazione dell'incarico, dall'autorità giudiziaria che ha proceduto» e che, nel caso ora in esame, l’autorità giudiziaria che ha proceduto va identificata nel Tribunale di Ferrara (in composizione collegiale).

Per risolvere la questione relativa all’ammissibilità del ricorso, il Tribunale di Bologna si interroga sulla via prescelta dall’avvocato ricorrente in rapporto alle disposizioni in materia di spese di giustizia (sull’ambito di applicazione del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, v. l’art. 2) e sottolinea che la domanda giudiziale può essere proposta con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. al tribunale competente «nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica».

Per il Tribunale di Bologna ai fini della decisione è sufficiente rilevare che l’accesso al rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c. è previsto quale alternativa al processo ordinario.

In altri termini, se non è data azione di condanna esperibile nelle forme del giudizio ordinario davanti al tribunale in composizione monocratica, il ricorso al procedimento sommario è inammissibile.

Ciò premesso, se, da un lato, è pacifica l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 14, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, poiché, in sostanza, il Ministero della Giustizia non è cliente del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato (lo riconosce lo stesso ricorrente, sulle orme di Cass. sez. II, 9 settembre 2019, n. 22448), dall’altro, il legislatore non prevede che quel difensore possa promuovere un autonomo giudizio ordinario di condanna (una causa «in cui il tribunale giudica in composizione monocratica») contro il Ministero della Giustizia, proprio perché il Ministero non è cliente del difensore e perché il diritto al compenso, sia pur fondato su presupposti di legge, sorge solo col «decreto di pagamento» emesso ai sensi degli artt. 82-83, d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 «dall’autorità giudiziaria che ha proceduto» e « secondo le norme del … testo unico» in materia di spese di giustizia.

Ai sensi del t.u. spese di giustizia, la competenza a liquidare il compenso in favore del difensore della parte ammessa al beneficio de quo appartiene dunque solo al giudice (non necessariamente civile né tanto meno necessariamente al tribunale in composizione monocratica) che ha definito il procedimento cui l’istanza si riferisce e che proprio in ragione di tale posizione, ossia del punto di osservazione in cui si trova, può, con piena cognizione di causa, valutare la qualità e l’efficacia dell’attività difensiva e dunque attribuire all’avvocato un equo compenso «tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all'incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa (art. 82, d.p.r. cit.)»

Il legislatore non prevede altra via.

In conclusione, sostiene il tribunale, poiché la domanda di liquidazione del compenso del difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato va proposta nel rispetto della disciplina, in punto di competenza e di rito (oltre che di criteri di liquidazione), prevista dal d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, e non instaurando un autonomo giudizio di cognizione ordinaria contro il Ministero della Giustizia davanti al tribunale in composizione monocratica, allora il ricorso in esame, presentato ai sensi dell’art. 702-bis c.p.c., è inammissibile ex art. 720-ter, comma 2, c.p.c..

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